27 agosto – 5 settembre: cronaca di una cronaca
di Claudio Greppi.
La cosiddetta “guerra del vino” comincia mercoledì 27 agosto quando su Repubblica Firenze esce un articolo a firma Maurizio Bologni, dal titolo (userò il grassetto per i titoli): Il Chianti: Pit frittata, minaccia i vigneti. Sottotitoli: “Il Consorzio all’attacco del piano del paesaggio: pascoli al posto dei filari e divieto di reimpianti nei vecchi. L’assessore Salvadori si associa: oltraggioso per l’agricoltura. Marson ammette: su alcune cose si può discutere”.
Ecco come comincia l’articolo di Bologni (in corsivo le citazioni dalla stampa): Pascoli al posto delle vigne, per garantire l’ancestrale alternanza di colture. E altolà al reimpianto delle viti, che invece sono troppo vecchie e hanno bisogno di essere rinnovate. In realtà la fonte, come si evince subito dopo, è il presidente del Consorzio Vino Chianti (che non è il Consorzio Chianti Classico), che si chiama Giovanni Busi, ma che nell’articolo compare come Aldo (potenza della letteratura…), al quale si attribuisce la seguente affermazione:
«E’una clamorosa frittata, è come se la Regione ci venisse a dire che i vigneti, finora considerati un elemento caratterizzante e tipico della bellezza delle colline, deturpano il paesaggio toscano – attacca il presidente del Consorzio Chianti Aldo Busi – Si mette a rischio un pilastro dell’economia e dell’occupazione, oltre che il più inflessibile custode del paesaggio».
Continua l’articolo: Gianni Salvadori, l’assessore regionale all’agricoltura, sta con loro. «E vero, nel Piano ci sono previsioni che penalizzano e sono addirittura oltraggiose per la vitivinicoltura e per l’intera agricoltura, ma c’è tempo per emendare». L’assessore all’ambiente, Anna Marson, difende la filosofia del Piano, ma non chiude a correzioni: «Il mosaico delle colture va mantenuto, ma su alcune cose si può discutere». (…) L’assessore Salvadori sposa la causa di imprese, piccole e grandi, dei lavoratori. «Nella parte descrittiva del Piano ci sono passaggi pregiudizievoli per l’agricoltura che di per sé fa il paesaggio», dice,
Ma come sarà nata, e nella testa di chi, l’idea dei pascoli al posto dei vigneti? Che cosa intende Anna Marson quando parla di mosaico di colture, così come quando ne parla il Pit e chiunque si sia mai interessato di paesaggio? E’ chiaro che non ci si riferisce più, oggi, a quel particolare modo di coltivare grano, vino e olio sullo stesso appezzamento, che era tipico della mezzadria e quindi di buona parte della Toscana centrale, ma del quale rimangono solo alcune tracce. Esiste ancora, tuttavia, quell’alternanza di colture (che poi sono sempre le stesse, cereali, viti e olivi) e di bosco che consente ancora di leggere nel paesaggio toscano l’impronta storica della classica coltura promiscua e dell’appoderamento. Per i pascoli, in quel sistema produttivo, non c’era proprio posto: bisogna lasciare le aree della mezzadria, risalire la montagna o scendere nelle maremme, seguire i percorsi della transumanza. Tra pascoli e vigneti non c’è mai stata nessuna relazione, sono spazi ecologicamente e storicamente separati.
Eppure l’idea è subito piaciuta, anzi diventa un’ideona, secondo Libero che il giorno dopo titola: Ideona della Toscana: via le vigne, largo alle pecore, un articolo di Tommaso Lorenzini. Leggendo meglio, si scopre che la distorsione la fa il titolo, e ancora di più il sottotitolo (“Il nuovo Piano paesaggistico regionale prevede pascoli al posto dei vecchi filari: idea «geniale» per settore turistico e investimenti”), mentre nel testo viene riportata (correttamente) una dichiarazione di Anna Marson. «Non abbiamo mai detto né scritto che le vecchie vigne saranno tolte di mezzo. Per ogni obiezione c’è ancora tempo, siamo aperti a ogni confronto, che peraltro in tempi non sospetti c’era già stato con le varie categorie ed esperti di settore. La realtà è che noi abbiamo sollevato criticità sulla proliferazione di vigneti di tipo industriale: i piccoli vignaioli ma anche le buone, grandi aziende, devono stare tranquilli».
Con maggiore attenzione, il tema viene ripreso il venerdì 29 dal Corriere Fiorentino, nel dossier a cura di Giulio Gori e Ivana Zuliani, dal titolo Con troppe viti troppi rischi? Pro e contro le nuove regole. Ad accedere la miccia della polemica – leggiamo nel dossier – è stato Giovanni Busi, presidente del consorzio Vino Chianti (…): «Non può essere un atto politico a dire dove io devo piantare viti o dove non posso farlo, deve essere il viticoltore a scegliere, perché conosce il vino e come lo si fa».
Seguiamo ancora il dossier: Dietro a Busi, si accodano tutti gli altri consorzi. Letizia Cesari (Vernaccia di San Gimignano) teme che i coltivatori si ridurranno «a fare i giardinieri per mantenere la beltà senza produttività», mentre Fabrizio Bindocci (Brunello di Montalcino) ricorda che «non ci sono dissesti se c’è un agricoltore attento, perché usa pochi antiparassitari, regimenta le acque, tiene i fossi puliti perché l’acqua scorra, per le ristrutturazioni recupera le pietre e i vecchi docci perché le case rispettino il più possibile il contesto toscano». Andrea Giorgi (Vino Orcia) ritorna con la memoria a quando «il paesaggio forse era più bello, ma non era adatto a un’agricoltura redditizia». Al contrario, Andrea Natalini (Nobile di Montepulciano) afferma che «duecento anni fa c’erano molte più vigne di ora».
Natalini forse non sa che nell’Ottocento erano molto rari i vigneti: la vite era diffusa sì, ma nella forma promiscua, maritata agli aceri e ai pioppi, o in collina agli olivi. Ma le altre affermazioni sono accettabili in un serio dibattito e potevano contribuire a riportare la discussione sui binari giusti. Tanto più che lo stesso 29 agosto Repubblica Firenze usciva con un articolo di Masimo Vanni dal titolo Marson: Nessun divieto ma cautele, che iniziava con le parole dell’assessore: «Nessun divieto assoluto per i nuovi vigneti nel Piano paesaggistico, solo alcune condizioni per chi vuole realizzarli».
L’articolo contrappone però alle parole di Marson quelle del collega all’agricoltura Gianni Salvadori: «C’è un taglio culturale generale che va adeguato, non possiamo fermare le imprese che vogliono crescere», per arrivare a questa dichiarazione bellicosa: E’ la ‘battaglia dei vigneti’. E questa è l’espressione , variamente declinata (guerra, battaglia) che d’ora in avanti conquista il primato fra i media.
Ancora, Marson aggiunge «Invito tutti a leggere il testo, non ci sono prescrizioni di sorta», ma l’articolo precisa che il testo conta ben 3 mila pagine: come dire, leggerlo è impossibile per un comune mortale. Né basta l’assicurazione, sempre da parte di Marson, che «uno degli obiettivi del Piano è riportare all’uso agricolo gli appezzamenti lasciati in eredità dalla mezzadria e oggi incolti o boschi secondari, trasformandoli anche in vigneti».
Troviamo subito ripresa la ‘guerra delle vigne’ sabato 30 agosto sul Corriere Fiorentino: Supertuscan alla guerra delle vigne «Noi non siamo degli speculatori», recita il titolo del servizio di Leonardo Testai. Eccone un passaggio: «Ci fa piacere leggere – spiega Luca Brunelli, presidente di Cia Toscana e produttore vinicolo a Montalcino – nelle dichiarazioni del presidente Enrico Rossi e degli assessori competenti, che la Regione Toscana non vuole vietare i nuovi vigneti. Ne prendiamo atto con soddisfazione. Tuttavia nel Piano i divieti per i nuovi vigneti ci sono, eccome; così come ci sono per il florovivaismo, l’ortofrutticoltura, l’agricoltura intensiva in genere. Altrimenti di cosa parla il Piano quando usa termini come “limitare”, “contrastare”, “ostacolare” “evitare”?».
È già: non ci si può mica fidare delle affermazioni del presidente o degli assessori. Quello che è scritto è scritto, nelle 3 mila pagine: lì, da qualche parte, i divieti ci sono! E i primi a doverli applicare saranno proprio i sindaci. I sindaci stretti tra l’incudine e il martello, titola Repubblica Firenze di sabato 30 agosto. Qui Massimo Mugnaini e Massimo Vanni riferiscono le parole del sindaco di Greve, Paolo Sottani: «Cosa direi al produttore del mio Comune che mi chiedesse di reimpiantare o estendere i suoi vigneti? Teoricamente gli direi di si. Tecnicamente però sono tenuto a recepire le prescrizioni del nuovo Piano e, quindi, a dirgli che quasi sicuramente non potrà farlo».
E di seguito quelle del sindaco di Montalcino Silvio Franceschelli: «Le schede d’ ambito che stabiliscono cosa si possa e cosa non si possa fare a livello agricolo, non si limitano a raccomandazioni ma contengono vere e proprie prescrizioni che non rendono onore al nostro lavoro, durato anni, di armonizzazione tra crescita economica e compatibilità paesaggistica», sostiene.
Finalmente qualcuno ha letto almeno una parte del Piano paesaggistico, e ne cita il contenuto: si tratta di una delle venti schede d’ambito in cui si articola la ricchissima documentazione raccolta dal gruppo di lavoro del Piano, formato come è noto dai tecnici della Regione insieme ai docenti e ai borsisti del Centro Interuniversitario di Scienze del Territorio. Si tratta appunto di un ampio quadro conoscitivo che non si limita a descrivere la situazione di fatto, ma ne ricostruisce le dinamiche storiche e – soprattutto – segnala per ogni tematica quali sono i valori e quali le criticità per ciascun ambito territoriale, per poi indicare alcuni indirizzi per una coerente politica del territorio. Nelle schede si segnalano criticità, e si indicano indirizzi di tutela, dal punto di vista dell’assetto idrogeologico, della rete ecologica, del sistema urbano e del paesaggio agrario. Anche la scheda numero 17 (Val d’Orcia e val d’Asso), che il sindaco di Montalcino dichiara di aver letto, contiene osservazioni critiche sull’estensione dei vigneti sui terreni delle crete, sui rischi idrogeologici ed ecologici di molti dei nuovi impianti. Ma non si tratta di “prescrizioni”, come ritiene il sindaco , bensì di indirizzi, in genere piuttosto cauti: di fronte ai quali argomenti del tipo “ma chi sono e che cosa ne sanno questi professoroni, lasciate fare a noi che di vigneti ce ne intendiamo” dimostrano soltanto la volontà di difendere ad ogni costo qualsiasi scelta operata nel passato e rinunciare all’opportunità di mettere insieme i saperi dei coltivatori con quelli delle scienze del territorio.
Su molti giornali vengono riportate le parole di Stefano Carnicelli, docente di pedologia e attuale direttore del CIST, che fornisce gli esempi di impianti a rischio: fra i quali proprio quelli di Montalcino, che ormai si estendono anche su terreni argillosi, pur di sfruttare il marchio: alcuni degli interessati, che hanno evidentemente la coda di paglia, si dichiarano terribilmente offesi. Difendere in blocco l’intera categoria non serve a nessuno. Aggiungo per mia esperienza personale che chi avesse visto costruire, alla fine degli anni ’90, i famosi vigneti di Poggio alle Mura, ovvero la cosiddetta villa Banfi, alla confluenza dell’Orcia nell’Ombrone, avrebbe avuto la sorpresa di trovare un vero e proprio cantiere che disponeva chilometri di tubazioni per realizzare un drenaggio del tutto artificiale.
Sempre nelle pagine della Repubblica Firenze del 30 agosto sono riportate anche le parole del presidente Rossi: «Voglio ribadire che i termini presenti nel piano non si riferiscono affatto a vincoli o divieti. Sono raccomandazioni che ovviamente vanno calate nella realtà del territorio delle varie aziende e da cui ci si può discostare motivatamente. Sono raccomandazioni tese a far adottare tutti gli accorgimenti necessari per evitare le criticità o le conseguenze indesiderate evidenziate dal piano stesso».
L’argomento è ripreso il giorno seguente dal Corriere Fiorentino, Guerra dei vigneti, il governatore: servono regole, sì al dialogo, a firma G.G. Enrico Rossi così si esprime: «A proposito del piano del paesaggio ho la sensazione che qualcuno vorrebbe che si riducesse ad un solo articolo: in Toscana ognuno fa quello che gli pare. E invece, per non piangere lacrime di coccodrillo, è bene mettere regole e allo stesso tempo semplificare. Proprio come abbiamo fatto noi».
Ma le parole non bastano, la “guerra” continua, anzi si inasprisce. Domenica 31 interviene il Quotidiano Nazionale dei Monti-Riffeser, a firma Pino Di Blasio: È guerra del vino in Toscana: «La Regione blocca i nostri vigneti», A sostenerlo, questa volta nientemeno che “le Signorie del vino”. Leggiamo: Prima le cave di marmo delle Apuane, da dove Michelangelo prendeva la materia per i suoi capolavori. Ora le Signorie del vino, dinastie di viticoltori che hanno superato la trentesima generazione, come i Ricasoli, i Frescobaldi e gli Antinori, che in Toscana combattono la stessa battaglia di aziende agricole da una dozzina d’ettari.
L’analogia con quanto era successo nel mese di luglio con la rivolta delle imprese del marmo contro il Piano la troviamo anche il 2 settembre sul Corriere Fiorentino: Cave e vigne, gli ultimi ostacoli al piano Marson, sempre a firma G.G., dove si legge che Il governatore Rossi difende Marson e assicura che il Pit al contrario darà nuove opportunità all’agricoltura specializzata: le direttive per combattere il dissesto idrogeologico riguarderanno solo le nuove vigne; che comunque potranno essere realizzate su 200 mila ettari di territorio strappati ai boschi di scarso pregio.
Mentre l’assessore all’agricoltura Gianni Salvadori si schiera coi viticoltori: come del resto non manca di sottolineare il Quotidiano Nazionale, lo stesso giorno: Salvadori difende le imprese del vino, sempre a firma Pino Di Blasio. Dove l’assessore mostra di condividere le preoccupazioni che abbiamo già sentito: «Il problema del piano regionale è il suo indirizzo culturale, che non riguarda solo il vino, ma tocca anche gli altri comparti. Prima afferma che l’agricoltura è una grande opportunità e una risorsa per la Toscana, poi elenca le criticità del settore. Siccome tutto il testo diventerà legge, si rischia di generare confusione e contraddizioni. Le criticità non sono prescrizioni, ma rischiano di diventarlo applicando il piano».
Il 3 settembre un nuovo dossier sul Corriere Fiorentino, Boschi, terrazze e pastori (per evitare l’effetto Barolo), a firma M.B. (Mauro Bonciani), riporta un sottotitolo categorico, “La legge sul paesaggio: cosa si può fare e cosa no”, ma poi si vede che l’autore è andato davvero a leggere i documenti di piano, e si è interessato alle schede riguardanti il Chianti, la Maremma e la Val d’Orcia. Sul Chianti, per esempio, la lettura che troviamo nell’articolo è corretta (Da qui – dall’analisi delle criticità – gli indirizzi per il futuro compreso quello di «indirizzare l’evoluzione della maglia agraria verso unità meno estese, nel senso del versante, e realizzando adeguati sistemi di gestione dei deflussi», (…) e di «limitare la perdita degli ambienti agropastorali e agricoli tradizionali, evitando la diffusione estensiva di nuovi vigneti specializzati in ambito collinare, che quando presenti in modo esteso e dominanti costituiscono ambienti agricoli di scarso valore naturalistico». Obiettivo finale, «tutelare la complessità della maglia agraria del sistema di impronta mezzadrile e riqualificare i contesti interessati da fenomeni di semplificazione, banalizzazione e perdita degli assetti paesaggistici tradizionali»).
Le foto che accompagnano il servizio mostrano un esempio negativo (intorno al castello di Barolo, accanto a uno positivo (Panzano), per quanto riguarda la tessitura dei vigneti: magari il bersaglio poteva essere scelto meglio, tra le tante monocolture del vino. Almeno i vigneti del Barolo sono sistemati e curati meglio di quelli di Panzano dove domina il “rittochino” con effetti perversi anche dove la maglia è relativamente piccola. Del resto anche sulla copertura della cantina Antinori recentemente costruita al Bargino (San Casciano) è stato piantato un bel vigneto a “rittochino”, proprio quella sistemazione che condannavano i Georgofili di una volta (ai quali l’attuale titolare dell’azienda Antinori si appella in piena guerra delle vigne, vedi QN del 4 settembre).
Leggere i documenti del Piano non è dunque impossibile: le famose 3 mila pagine non costituiscono il “faldone” con cui si è cercato di scoraggiarne la consultazione, ma sono tutte facilmente accessibili in versione digitale. Tuttavia un’affermazione un po’ avventata del presidente Rossi nel corso di una visita a una delle famiglie di produttori storici (i Frescobaldi di Nipozzano: vedi la foto qui sopra) viene subito utilizzata a sproposito dal servizio che Repubblica dedica all’episodio. Il titolo è Rossi e il paesaggio: «Nel nostro Piano problemi di linguaggio”. Idea che viene ulteriormente enfatizzata nei sottotitoli: “E tra i filari boccia lo stile Marson: Accademico”. Si trattava in realtà solo di un passaggio (Posso già dire che semplificheremo il linguaggio del piano, troppo burocratico e accademico, si legge sul Corriere).
Per Massimo Vanni, che firma l’articolo, si tratta addirittura di una nuova fase nella guerra delle vigne: È il Piano che ha portato zizzania fin dentro lo stesso governo della Regione, perché contro la gigantesca opera di 3 mila pagine – più lunga di un terzo di’Guerra e pace’ (nell’edizione Mondadori) -firmata dall’assessore all’urbanistica Anna Marson, si è scagliato anche il responsabile agricoltura Gianni Salvadori. Raccogliendo nel merito le accuse di ‘dirigismo’ e di eccessiva burocratizzazione inviate dai consorzi di tutela e dagli stessi sindaci all’indirizzo personale dell’assessore Marson. Ma adesso le parole del governatore, che era sembrato fin qui schierarsi con la propria responsabile dell’urbanistica, aprono una nuova fase.
A nulla valgono le dichiarazioni delle stesso presidente riportate il giorno dopo su Toscana Notizie: «Smentisco nel modo più assoluto di aver voluto prendere le distanze dall’assessore Marson». Così il presidente Enrico Rossi interviene a seguito di alcuni articoli dedicati oggi dalla stampa alle sue dichiarazioni nel corso della visita all’azienda vitivinicola Frescobaldi. «Anzi, voglio nuovamente ringraziarla per aver elaborato e proposto il Piano paesaggistico che è stato approvato da tutta la giunta. Rivendico con orgoglio – prosegue il presidente Rossi – il fatto che grazie al nostro Piano si sia aperta nella politica e nella società una discussione seria su come conciliare a livelli qualitativamente sempre più alti il rapporto tra economia, ambiente e paesaggio».
Ma né Repubblica né Corriere riportano queste dichiarazioni, che si possono leggere solo sulle pagine del Tirreno. Il Quotidiano Nazionale, addirittura, fornisce la sua interpretazione: la Regione fa dietrofront”, si legge nel titolo del servizio del 4 settembre.
Certo, si può anche modificare il linguaggio: ma non si può confondere raccomandazioni e indirizzi con prescrizioni e vincoli. Il Piano su una cosa non transige: ogni trasformazione che comporta alterazioni del paesaggio va studiata bene, che si tratti di cave come di vigneti o di infrastrutture. Ogni intervento richiede un progetto, questa è la vera novità: ma sembra che proprio l’obbligo di confrontarsi con un progetto faccia paura. Se il Piano paesaggistico contribuirà a instaurare una nuova cultura del progetto, avrà raggiunto il suo scopo principale.
Purtroppo la cronaca di questa vicenda mostra come sia più comodo fidarsi del linguaggio giornalistico che non risalire alle fonti: e anche come talvolta sono i titoli a trarre in inganno, quando magari il testo sarebbe corretto. Ma non c’è limite alle distorsioni giornalistiche: mentre scrivo questa cronaca, esce un articolo su Libero nel cui titolo ormai il Piano paesaggistico è semplicemente un “piano antivigne” (e per il resto apre sì una nuova fase: quella della macchina del fango, sulla quale è meglio tacere).
Claudio Greppi, 5 settembre 2014.
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Claudio, scrivine di più di articoli come questo. Sono una bella boccata d’ossigeno civico-culturale