Intervista con Maurizio Maggiani, di SIMONE SILIANI, su Cultura Commestibile 84, luglio 2014. Abbiamo intervistato lo scrittore Maurizio Maggiani sul conflitto che si è consumato nei giorni scorsi intorno alle Alpi Apuane sul Piano Paesaggistico della Regione Toscana. Maggiani, già vincitore del premio Campiello e il premio Viareggio con “Il coraggio del pettirosso” nel 1995. Nel 2005 ha vinto, con il romanzo “Il viaggiatore notturno”, i premi Premio Ernest Hemingway e Premio Parco della Maiella e il Premio Strega. Nato a Castelnuovo Magra è uomo di montagne.
Siliani – Nei giorni scorsi, sulle Apuane, si è combattuta una battaglia: cavatori (o meglio imprese) vs. ambientalisti, intorno al Piano Paesaggistico redatto dall’assessore Marson per la Giunta Regionale Toscana. Sembra una guerra fra chi considera il paesaggio un bene privato (o comunque, asservito all’interesse privato) e un bene comune, fra l’egoismo e l’altruismo. Tu hai raccontato la vita delle genti di Vagli nel Distretto, incastonato fra i monti delle Apuane e le vallate della Garfagnana in Meccanica Celeste. Il Distretto è forse il vero protagonista del tuo libro: quell’ambiente naturale e mitologico, in cui la giovane della tribù delle montagne piange l’uccisione da parte delle centurie romane del suo amato principe guerriero della piana pisana e lo piange tanto da plasmare con le sue lacrime un’intera montagna (l’Omo Morto). Ci racconti queste montagne, questo paesaggio dal punto di vista delle genti di Vagli?
Maggiani – Il paesaggio raccontato dalle genti di Vagli bisognerà chiederlo a quelli di Vagli, di cui non conosco nemmeno la lingua e credo nessuno fuori da Vagli sappia nemmeno capirla bene tanto sono riservati. Io non so cosa sia il paesaggio per i misteriosi abitanti di Vagli; posso intuirlo attraverso le loro azioni, attraverso il modo che hanno di vivere, il modo che hanno di rappresentare la propria vita e che è una vita dentro un paesaggio. Voglio però prima fare una precisazione. Io non sono un ecologista, perché non ho la cultura dell’ecologia essendo figlio di contadini. Se c’è della gente che non riesce ad afferrare la cultura ecologista sono proprio i contadini perché per loro la natura, intesa come luogo inumano, è una assoluta estraneità. Il contadino si rapporta con la natura in genere, con gli animali, con il paesaggio, con gli esseri viventi e soggiacenti di vita come le pietre, per sé, per la sua vita. La natura che il contadino capisce è la sua vita; dentro quella vita, la propria vita. Se mio nonno Garibaldi lo mettevi davanti ad un paesaggio selvaggio, la prima cosa che gli veniva in mente è “chi è che mettan il vigne? Chi mettan di coi? Chi’l che porta l’acqua a le bestie?” Questo è importante perché io parto da lì, quella è la mia cultura. Non esiste per me il concetto di valore a sé, L’ecosistema comprende anche gli umani; come comprende gli scorpioni e la grandine. Ora, forse gli scorpioni e la grandine hanno poche amicizie in giro, però sono parte dell’ecosistema. I cavatori sono parte dell’ecosistema e lo sono, forse, anche gli ecologisti, Mia moglie è stata commissario d’esame in un liceo artistico di Ravenna. Un giovane candidato ha portato una tesina sui nuovi sistemi di agricoltura biologica di un tale giapponese che non conosco. Questo ragazzo spiegava come si mescolano i semi insieme all’argilla e si gettano in terra. Questo ragazzo, che ha sicuramente una forte sensibilità ecologica, probabilmente ricava il suo reddito (o i suoi genitori) ignorando completamente che cosa vuol dire metter su un pezzo di pane. Non si falcia il grano andando a spiluccare le sue spighe tra la gramigna, l’avena selvatica e loglio. Allora, le Apuane. C’è sempre stato, per obbligo neppure per sensibilità estetica, una cura che si rivela anche estetica nel rapporto con l’ambiente che ti dà da vivere e dunque con le Apuane da parte delle genti di Vagli che erano in gran parte fatte di cavatori. C’è una bellezza in sé in una vecchia cava, ma questa bellezza in sé viene perché è stato un lavoro ben fatto. L’idea di bellezza che io ho, l’unica idea di bellezza su cui io sono cresciuto, è quella generata per forza di cose da un lavoro ben fatto. Un lavoro ben fatto lo riconosci subito perché brutto a vedersi e poi perché non dà frutto, o non lo dà abbastanza e non lo dà nel tempo. Una potatura ben fatta di una vigna è veramente bella da vedersi; sembra un ritmo decorativo, una cosa adatta ai poeti; ma io non sono cresciuto fra i poeti, bensì fra i contadini, eppure quella bellezza c’era. Ora, quella potatura ben fatta, bella da vedersi, in realtà era buona perché dava il giusto frutto, nel giusto modo e soprattutto lo dava nel tempo: vigne che duravano perché non era possibile pensare di cambiare gli impianti ogni 5 o 10 anni. La cava doveva durare secoli perché dovevano mangiarci i figli, i figli dei figlio, i figli dei figli dei figli. E poi le cave più preziose erano quelle del bianco e il bianco doveva essere lavorato con grande attenzione e non solo, ma con un’arte straordinaria perché è raro, prezioso e soprattutto deve essere integro quando viene venduto a Rodin o a Michelangelo. Ma adesso tutto questo non c’è più. Intanto perché le cave più prezioso sono in gran parte estinte. Ma soprattutto il reddito maggiore non viene dalla cava tradizionale ma dalle nuove necessità commerciali, cioè dal carbonato dove non è necessaria nessuna cura, nessuna cautela, nessuna arte se non quella strettamente necessaria, mi auguro, almeno per non far morire gli operatori che ci lavorano.
Siliani – Infatti, il paesaggio di cui dobbiamo discutere, l’unico paesaggio possibile in Toscana, è quello artefatto dall’uomo, costruito dall’uomo. E, in questo caso anche le Apuane hanno indubbiamente questa caratteristica. Il problema è quando le esigenze industriali fanno smarrire quelle capacità, competenze, quella cura, anche quell’amore per il territorio in cui vivi, giusto?
Maggiani – Sì, è un totale disinteresse perché la multinazionale con sede, ad esempio, a Toronto non sa nemmeno cosa sono le Apuane e non ha nessun interesse a saperlo. Quello chela riguarda è il profitto e i dividendi. Per cui le Apuane equivalgono a delle cave nello stato del Rio Grande do Sol. Ora, il problema è che i poveri, i salariati sono in conflitto eterno con altri poveri e salariati che non prendono il pane da dove lo prendono loro. I seringueiros, che sono persone degnissime, si affrontano a colpi di machete con gli indigeni della zona amazzonica: non possono vivere insieme, cavare caucciù e continuare a vivere nel paleolitico come certe popolazioni desiderano e hanno diritto di vivere, nella foresta vergine. Questo è un caso, ma ve ne sono moltissimi analoghi. I cavatori contro gli ecologisti sono la parte peggiore di un conflitto che comunque esiste. Non puoi dire ai cavatori “cercatevi un altro lavoro”; puoi dire agli ecologisti “levatevi di qui”. A meno che gli ecologisti non siano gli abitanti, gente che abita lo stesso paesaggio dei cavatori; e allora sono i fratelli contro i fratelli, i padri contro i figli, però è una cosa diversa. E la battaglia per la difesa del patrimonio paesistico comune può essere solo vinta, e secondo me vale la pena di essere combattuta, solo se è la comunità che si confronta con se stessa. Se viene un professore di Harvard a spiegarmi che io faccio male a scavare carbonato di calcio in questo meraviglioso giogo di montagne incantate, non ho grandi difficoltà a cacciarlo giù da un pozzo di cava; se invece è mio figlio o sono i bambini della scuola del paese, è molto diverso. Penso alla TAV, che è un tema che riguarda molto la Toscana: io ho l’idea che la TAV se mai potrà succedere che non si farà, sarà perché avranno vinto gli “egoismi locali”, non il movimento ecologista mondiale; cioè se avranno vinto le comunità locali che intendono difendere se stesse e per questo parlo di egoismo. Anzi, probabilmente l’ecologista mondiale così malamente rappresentato in certe occasioni, non dà un contributo particolarmente positivo, mi sembra. Allora, la difesa del territorio, del paesaggio, ivi compresa la bellezza del paesaggio se essa è – come io penso – una cosa ben fatta, il frutto di un buon lavoro: gli “egoismi locali” possono discutere quando anche gli interessi all’interno della comunità sono diversi. Mi chiedo quanto questo accada. In questo momento ti parlo da un posto, dove ormai vivo da tempo, sulle colline della campagna romagnola e intorno a me vedo migliaia di ettari di paesaggio che mi commuovono, ed è tutto paesaggio lavorato. Qui la gente vive di quello, di agricoltura. Lo stesso studente di mia moglie si scagliava contro gli anticrittogamici, lamentava che non ci sono più le rane, ecc.: certo, è vero, ma vorrei prenderlo per le orecchie e portarlo qui dove non si dorme di notte per il gracidare delle rane. Non è più come nel 1950 e non si danno più gli anticrittogamici che uccidono le rane. Le cose sono cambiate perché ha vinto una battaglia l’egoismo locale che rappresenta il lavoro ben fatto che quindi considera che anche le rane hanno un loro posto.
Siliani – il paesaggio toscano è veramente soltanto il paesaggio “ben fatto”, o quando non lo è, è “mal fatto”, ma comunque è “fatto”. Non esiste niente di naturale, nel senso assoluto, vergine.
Maggiani – Certo. Un’operazione simile a quella del carbonato, ad esempio, si sta consumando nelle Cinque Terre. Esse sono esclusivamente frutto dell’intervento umano, altrimenti sarebbero solo un pezzo di 15 chilometri di falesia in un complesso che si sviluppa fra la Liguria e un pezzo di Francia. Le falesie sono belle, però non solo le Cinque Terre, che non sono altro che l’incredibile secolare lavoro per ricavare dalla falesia – che è il posto più ingrato possibile – terreno agricolo e terrazzamenti. Cosa è successo? Da 20 anni le Cinque Terre vivono dello sfruttamento turistico di massa di quel panorama. E quel panorama si sta sfaldando pezzo per pezzo; viene consumato da 2/4 milioni di presenze annue. Gli abitanti delle Cinque terre sono diventati tutti improvvisamente ricchi, anche perché lavorano esentasse. Ma saranno ricchi loro e i loro figli; i ricchi si mangeranno la ricchezza accumulata dai padri e poi non ci sarà più niente. Secondo me non è un tema diverso da quello delle Apuane. Bisogna capire oggi cosa rimarrà fra 30 anni delle Apuane.