Aeroporto di Firenze: in volo verso il G8

imagesdi Ilaria Agostini, 29 maggio 2014. Tra Pisa e Firenze si sta mettendo in pratica la cancellazione della sovranità pubblica sulla pianificazione del trasporto aereo toscano che verrebbe consegnato a una gestione puramente affaristico-mercantile. Proviamo a delineare il quadro. Nel 2013 la Regione Toscana adotta la variante al Piano di Indirizzo Territoriale (PIT) per un ancora indefinito progetto di “qualificazione aeroportuale” che dovrà attenersi a due prescrizioni: 2000 metri come lunghezza massima della pista; costi per l’ampliamento a totale carico del proponente. Nell’aprile 2014, la Corporacìón America dell’argentino Eurnekian – che già da qualche mese possiede il 33,4% delle azioni dell’Aeroporto di Firenze (AdF) e il 27,3% dell’aeroporto di Pisa (SAT) – propone l’acquisto delle quote regionali di entrambi gli scali (tecnicamente: lancia due Opa, una obbligatoria su Adf, e una volontaria su SAT). Ad oggi, la Regione Toscana detiene poco più del 5% delle azioni di AdF (presieduta dal sodale di Renzi, Marco Carrai) e controlla il 54,5% delle quote pisane, dove detiene circa il 16,8% delle azioni e ne manterrebbe il 5% dopo la vendita, scardinando in tal modo il patto di sindacato tra enti pubblici che perdono così il controllo della gestione. Per infedeltà al patto, che era stato firmato il 23 luglio 2013, il Comune di Pisa ha presentato ricorso contro Rossi. La fusione in unica società dei due scali sarebbe da lunga data la soluzione generalmente auspicata, quando fosse orientata a rafforzare Pisa per alleggerire a city airport l’aerostazione fiorentina a ridosso della città. Nei piani dell’argentino, invece, la prospettiva è ribaltata: Firenze assumerebbe un ruolo internazionale a discapito del traffico pisano. Per garantire il successo dell’investimento fiorentino, la corporation argentina pretende 2400 metri di pista (accessibile così ad aerei più potenti e capaci) che, con le aree di comporto ad inizio e fine pista, verrebbe ad allungarsi per più di 3000 metri. Tutto ciò è incompatibile con il previsto parco agricolo della Piana, e con la prescrizione dei 2000 metri di lunghezza massima prevista dalla variante al PIT (ma si sa, le varianti variano in fase di approvazione). Gli argentini garantiscono inoltre di avere già un progetto esecutivo: evenienza che farebbe saltare il dibattito pubblico, annunciato dal garante alla partecipazione. L’aeroimprenditore si limiterà a finanziare solo per metà i lavori di “qualificazione” dell’aeroporto, indicati dal masterplan AdF intorno ai 240 milioni di euro. Sottostimati, peraltro, se si considera anche il solo riassetto del complesso sistema idraulico della piana stravolto dalla posizione della nuova pista che taglia la direzione di drenaggio delle acque: spostamento del Fosso Reale, riorganizzazione degli allacci coi fossi secondari, risistemazione delle casse di espansione, rinaturalizzazione delle aree umide etc. Resta ora da capire dove verranno recuperati i rimanenti 120 milioni a sostegno dell’impresa privata, se si aggiunge comunque che la Commissione europea impedisce l’accesso al finanziamento statale (che passa attraverso i fondi europei) per il potenziamento degli aeroporti “in competizione”, ovvero di quegli aeroporti situati in un raggio inferiore ai cento chilometri da altri scali, quale Firenze rispetto a Pisa e Bologna. In questo quadro risulta risolutiva la proposta renziana di un G8 (nel 2017?) a Firenze, con i conseguenti fondi straordinari. Un regalo per Carrai ed Eurnekian. E un ulteriore tassello della malapianificazione della piana fiorentina.

Per saperne di più (o anche per seguire i disinvolti giri di valzer dei nostri amministratori) basta scorrere l’elenco cronologico dei titoli degli articoli sul tema degli aeroporti di Pisa e Firenze registrati fra il 2010 e oggi nella nostra rassegna stampa, raccolti nel DOSSIER AEROPORTI.

 

Casetta libera” per tutti: Renzi peggio di Silvio

case_mobili_su_camion2di TOMASO MONTANARI, Il Fatto Quotidiano, 20 Maggio 2014.

La riforma della P.A. annunciata dal premier Matteo Renzi e dalla ministra Marianna Madia prevede di superare i “blocchi” dei pareri paesistici e delle Soprintendenze (“dobbiamo ridurre i casi in cui il parere serve”, ha detto Renzi). La filosofia sottostante è quella espressa da Giovanni Valentini su Repubblica: le soprintendenze “troppo spesso” sarebbero “di freno e ostacolo allo sviluppo”. Galoppando su questa linea, che si potrebbe chiamare delle mani (libere) sul territorio, alcuni senatori del Partito Democratico hanno usato la legge di conversione del cosiddetto Decreto Casa (sarà approvata definitivamente oggi, dopo che ieri la Camera ha detto sì alla questione di fiducia del governo) per imbucare un articolo che allarga la possibilità – già concessa dal lettiano decreto del Fare – di installare ovunque “case mobili” senza chiedere alcun permesso di costruire.

Così le piazzole per tende dei campeggi di tutta Italia potrebbero trasformarsi per incanto in altrettante schiere di casette e bungalow: e, chissà, un domani potrebbero mettere radici e trasformarsi in vere case di vero cemento. Molte recenti sentenze dei Tar, del Consiglio di Stato e della Cassazione hanno invece ribadito che se questi insediamenti sono permanenti (per esempio attraverso l’allaccio alle reti idriche, energetiche e fognarie ), essi incidono sul territorio e dunque devono passare attraverso tutti i vagli di legge. Al contrario, l’emendamento del Pd permette di fare esattamente quel che sognano Renzi e Madia, e cioè aggirare piani regolatori, piani paesaggistici e vincoli e costruire ovunque: perfino nei parchi nazionali o in aree archeologiche. Un parere dell’Ufficio legislativo del Mibac ha cercato di circoscrivere le nefaste conseguenze di questo punto del decreto del Fare, chiarendo che le autorizzazioni paesaggistiche non possono essere omesse: ma si tratta pur sempre solo di un parere, e questa nuova riscrittura della legge rischia di aprire un grosso varco. Un varco alla costruzione di strutture ufficialmente mobili, è vero: ma la storia italiana insegna che non c’è niente di più stabile dell’effimero. E le nostre pinete e le nostre coste non hanno certo bisogno di un’ondata di urbanizzazione selvaggia.

Il simpatico grimaldello distruggi-paesaggio, introdotto in Senato, da oggi sarà legge grazie alla scelta del governo di includerlo nel pacchetto sottoposto a duplice voto di fiducia, che rende nere tutte le vacche nella notte della democrazia. I promotori sono stati quattro senatori pd: Stefano Collina, primo firmatario, eletto in Emilia Romagna, Mario Morgoni, eletto nelle Marche, Andrea Marcucci e Manuela Granaiola, entrambi eletti in Toscana ed entrambi firmatari nel novembre scorso di un emendamento che aveva l’obiettivo di vendere ai proprietari degli stabilimenti balneari le spiagge demaniali che hanno in concessione per “contribuire al risanamento dei conti pubblici”. Un provvedimento che hanno poi dovuto ritirare, sommersi dall’onda di sdegno suscitata da un’idea di svendita dei beni comuni tanto intimamente berlusconiana.

È da notare che Marcucci (già Pli, già Lista Dini, già Margherita, ora renziano di ferro) è stato sottosegretario ai Beni culturali (e dunque anche al paesaggio) ed è ora nientemeno che presidente della commissione Cultura del Senato. Difficile liquidare questa uscita come l’iniziativa estemporanea del primo che passa: è invece un segno del fatto che la “Svolta buona” di Renzi rischia di avere un inconfondibile color cemento. E c’è da chiedersi se non sia proprio a causa di questo orientamento “maniliberista” del senatore Marcucci se la commissione del ministero per i Beni culturali (presieduta da Salvatore Settis, che certo ha un altro orientamento) che dovrebbe revisionare il Codice dei Beni culturali e del paesaggio non sia ancora riuscita, dopo nove mesi dalla nomina, ad avere la delega dal Parlamento.

Il caso è stato sollevato pubblicamente dal consigliere nazionale di Italia Nostra Emanuele Montini, e inutilmente nelle ultime ore il blog Carteinregola (che riunisce centotrenta associazioni e comitati romani) ha scritto ad ogni deputato “sperando che qualche politico di buon senso, come è già successo per la privatizzazione delle spiagge,faccia sentire la voce dei cittadini più forte di quella delle lobbies”.

Antonio Cederna non si stancava di ripetere che bisogna stare attenti “perché sennò ci strappano il territorio da sotto i piedi, perché l’Italia è il Paese più provvisorio che ci sia”. È ancora così. Il Paese è terribilmente provvisorio, ma le case provvisorie di cui Marcucci & c. vorrebbero coprirlo rischiano, invece, di essere eterne.

Per gli sviluppi si veda anche http://carteinregola.wordpress.com/

Aeroporti toscani: il ruolo della Regione.

aeroporto-vespucci-firenzeComunicato stampa della Rete dei Comitati.

21 maggio 2014.

La Rete dei Comitati per la difesa del territorio ritiene negativo che la Regione Toscana venda, in toto o in parte, le azioni detenute di Sat e di Adf, le due aziende che gestiscono rispettivamente l’aeroporto Galileo Galilei di Pisa e l’Amerigo Vespucci di Firenze, a Corporacion America, il gruppo argentino del magnate Eduardo Eurnekian. La cessione delle quote è quanto prevede una delibera, già approvata nelle scorse settimane dalla Giunta toscana e ulteriormente modificata nella ultima seduta del 12 maggio quando è stata cassata la parte del testo in cui si parlava di “mantenimento di una quota societaria che consenta la verifica del perseguimento dell’obiettivo di integrazione, anche tramite la sottoscrizione di ulteriori accordi”.
Così facendo la Giunta toscana spiana la strada a Corporacion America, intenzionata ad acquisire la maggioranza delle azioni sia a Firenze che a Pisa su cui ha già lanciato due Offerte pubbliche d’acquisto (Opa), e rinuncia di fatto alla possibilità di far rispettare gli obiettivi strategici che sono alla base dell’integrazione tra i due scali, quindi a tutelare l’interesse pubblico in una questione di grande importanza come il sistema aeroportuale regionale, affidandone le sorti agli interessi multinazionali di impresa.
Inoltre, conseguenza diretta della cessione di quote sarebbe la possibilità di realizzare l’ampliamento della pista dell’aeroporto di Peretola, aggirando la normativa europea e utilizzando fondi pubblici.
“Prevedere nella Piana fiorentina una nuova pista da 2.400 metri, o in subordine da 2.000 metri – dichiara il Presidente della ReTe Mauro Chessa – significa non tener conto delle enormi criticità in termini di sicurezza e di inquinamento ambientale che già i cittadini della Piana e dell’hinterland fiorentino conoscono bene”. Si sottovalutano così i costi del riassetto dell’intero sistema di drenaggio e dell’interramento dell’autostrada, necessari alla nuova localizzazione della pista. Ciò contrasta inoltre palesemente con il progetto del Parco agricolo della Piana fiorentina che la stessa Regione ha predisposto, definito dal Piano stesso del Parco “principio ordinatore di tutte le politiche infrastrutturali”.

La ReTe ritiene che l’integrazione del sistema aeroportuale debba salvaguardare le peculiarità delle due infrastrutture, senza piani faraonici che rischiano di ripercuotersi seriamente sia sull’assetto del territorio sia sulle finanze pubbliche, visto che il progetto della pista allungata e parallela di Peretola sarebbe realizzato con il 50% di risorse pubbliche.
Secondo la ReTe le priorità devono riguardare la messa in sicurezza dell’attuale pista di Firenze, la complementarietà dei due scali toscani attraverso il potenziamento del collegamento ferroviario Pisa-Firenze e finalmente la razionalizzazione urbanistica della piana per mezzo del Parco agricolo.

Milano e Firenze, chiese a uso privato.

imagesdi TOMASO MONTANARI,
Il Fatto quotidiano, 16 Maggio 2014.

Stasera la banca d’affari newyorchese Morgan Stanley accoglierà i suoi danarosissimi ospiti per una cena ultraesclusiva (organizzata dall’albergo di lusso Four Seasons) nel Cappellone degli Spagnoli, che è la sala capitolare trecentesca di Santa Maria Novella a Firenze. Si chiama così perché, a metà del Cinquecento, divenne la cappella dove si riunivano gli spagnoli del seguito di Eleonora di Toledo, moglie del granduca Cosimo I. È, insomma, una chiesa – con tanto di grande crocifisso marmoreo sull’altare – completamente coperta di affreschi che raccontano la spiritualità e le opere dell’ordine mendicante fondato da San Domenico. La brillante idea di usarla come location al servizio della grande finanza responsabile della crisi è del vicesindaco e candidato a sindaco Dario Nardella: la cappella è, infatti, compresa nel circuito museale comunale. Rispettando più il desiderio di discrezione del gruppetto di super-ricchi che non il diritto dei cittadini a essere informati dell’uso del loro patrimonio monumentale, il Comune ha tenuto finora segreto l’evento. Ma si apprende che il beneficio economico sarà minimo: meno di 20 mila euro, che dovrebbero essere destinati al restauro di un’opera d’arte. La precipitosa e silenziosa organizzazione della serata – gestita direttamente da Lucia De Siervo, responsabile della Direzione cultura di Palazzo Vecchio e membro del cerchio magico renziano – potrebbe comportare la temporanea chiusura della chiesa di Santa Maria Novella (eventualità che ha fatto infuriare il Fondo Edifici di Culto del ministero dell’Interno, proprietario del tempio), e obbligherà a collocare le cucine in un chiostro del convento ancora di proprietà dei frati, all’oscuro di tutto. Nardella, evidentemente, non cambia verso rispetto a Renzi: l’unico uso del patrimonio pubblico è ancora quello commerciale. Ma vista la grottesca esiguità del canone, è evidente che il vero movente è piuttosto quello di disporre di queste location per costruire e consolidare la rete dei rapporti politici ed economici del gruppo dirigente renziano, assai proclive a frequentare la più spregiudicata finanza internazionale. Colpisce che il connubio chiesa-lusso-affari non turbi i sonni di politici che non perdono occasione per esibire il proprio cattolicesimo. Negli affreschi del Cappellone i milionari vedranno San Domenico, ardente di amore per la povertà, che converte e confessa coloro che vivono nel lusso: ci si riconosceranno? Poco più in là vedranno rappresentato il trionfo di San Tommaso d’Aquino, il grande filosofo medioevale che scrisse che “il lucro non può essere un fine, ma solo una ricompensa proporzionata alla fatica”, e che “nessuno deve ritenere i beni della terra come propri, ma come comuni, e dunque deve impiegarli per sovvenire alle necessità degli altri”. Chissà cosa avrebbe pensato se avesse saputo che la sua immagine dipinta avrebbe un giorno decorato la location di un banchetto per i super squali che hanno costruito la più grande disuguaglianza della storia umana. Il prossimo passo quale sarà? Far sfilare modelle in biancheria intima su un altare? Ma si è già fatto, e proprio a Firenze: in Santo Stefano al Ponte, con la benedizione della Curia. Si arriverà a prestare pezzi di chiese gotiche a centri commerciali? Già fatto anche questo: Oscar Farinetti ha appena annunziato che porterà un pezzo del Duomo di Milano nel suo supermercato sulla Fifth Avenue, a New York, per la precisione “due guglie”. E sì, la Veneranda Fabbrica del Duomo (quella che voleva mettere un ascensore per fare una terrazza da aperitivi sul tetto della Cattedrale) gli presta due guglie da tempo musealizzate, con relative statue di santi. Non per un progetto scientifico, ma come attrazione: insieme a quattro di quelle che Farinetti ha chiamato “grondaie” (le gronde gotiche), e a quella che ha definito “una statua di Santa Lucia incinta”. Ora, Santa Lucia era vergine e finì martire: ma incinta non risulta, e probabilmente l’esuberante Farinetti ha frainteso la veste goticamente cinta sotto il seno della bellissima Santa Lucia del Maestro del San Paolo Eremita, che verrebbe strappata al circuito del Museo del Duomo. Ma il punto non è la gravidanza della statua, né la cultura del patron di Eataly: il punto è chiedersi se abbia senso portare pezzi di una grande chiesa medioevale in un supermercato di cibo a New York, o far banchettare i banchieri in una chiesa del Trecento. Il Vangelo dice che non si può servire a due padroni, e che si deve scegliere tra Dio e il denaro: bisogna riconoscere che sia la Veneranda Fabbrica sia Nardella hanno scelto. Ma anche chi non ha scrupoli religiosi dovrebbe preoccuparsi per la distruzione della funzione civile del patrimonio culturale. Chi crede nel marketing dovrebbe interrogarsi sulla ridicola entità degli utili, e chi immagina che questa privatizzazione sia la via del futuro dovrebbe farsi qualche domanda sulla mancanza di trasparenza. Gli unici che in nessun caso avranno dubbi sono i pochissimi che ci guadagnano: questo è certo.

Come è andata a finire? Invece di 20.000 €, viste le polemiche, ne sono stati chiesti 40.000!

Lo leggiamo su: Repubblica 18 maggio Monumenti in affitto