Alberto Asor Rosa

Il neoambientalismo italiano

di Alberto Asor Rosa, il manifesto, 27 marzo 2014

Vor­rei fare un discorso gene­rale. Ma par­tendo da un caso par­ti­co­lare. Sabato scorso, 22 marzo, mi è capi­tato di pre­sie­dere a Firenze un con­ve­gno (ilmani­fe­sto, dome­nica) orga­niz­zato dal Comi­tato NoTun­nel, Ita­lia Nostra e la Rete dei Comi­tati per la difesa del ter­ri­to­rio, che dirigo da qual­che anno, in merito al pro­get­tato sotto-attraversamento fer­ro­via­rio di Firenze per con­sen­tirvi il pas­sag­gio dell’Alta Velo­cità, che attual­mente sbarca alla sta­zione di Santa Maria Novella.

Le rela­zioni e il dibat­tito hanno por­tato alle con­clu­sioni, che io a que­sto punto con­si­dero scien­ti­fi­cis­sime e incon­tro­ver­ti­bili, che 1) sca­vare un gigan­te­sco tun­nel sotto quella città, quella città!, e costruirvi una grande sta­zione fer­ro­via­ria, è opera deva­stante, rischiosa, enor­me­mente anti­e­co­no­mica, e per giunta super­flua, per­ché 2) è pos­si­bi­lis­simo un pas­sag­gio alter­na­tivo di alta velo­cità in super­fi­cie, enor­me­mente meno inva­sivo e asso­lu­ta­mente più economico.

Que­ste posi­zioni, natu­ral­mente, sono soste­nute e dibat­tute da anni soprat­tutto ad opera e per merito del Comi­tato NoTun­nel. Ma ripeto: il con­ve­gno del 22 ha solo dato loro una visi­bi­lità finora non rag­giunta. Due domande: 1) Com’è pos­si­bile che le forze eco­no­mi­che e isti­tu­zio­nali che ne sono state respon­sa­bili e soste­ni­trici, — il governo, Tre­ni­ta­lia, il comune di Firenze, la regione Toscana, — non si deci­dono a rimet­tere in discus­sione la cosa, anche quando i dati pre­ce­den­te­mente elen­cati sono ormai di un’evidenza solare e per giunta i lavori intra­presi sono stati già inter­rotti da una meri­to­ria ini­zia­tiva della magi­stra­tura?; 2) Come mai il ceto poli­tico e civile fio­ren­tino, toscano, ita­liano e, euro­peo e mon­diale non si è ancora sol­le­vato con­tro un’opera la cui bestia­lità offende pas­sato e futuro di una delle culle più signi­fi­ca­tive della civiltà occidentale?

Evi­den­te­mente c’è un vuoto di coscienza poli­tica e civile, che va cor­retto alla svelta. Il com­pito delle forze ambien­ta­li­ste da que­sto momento in poi è riem­pire quel vuoto, met­tere il mondo intero di fronte al disa­stro che si sta compiendo.

Discorso gene­rale. La Rete dei Comi­tati per la difesa del ter­ri­to­rio tiene a Firenze sabato pros­simo, 29 marzo (Affra­tel­la­mento, Via G.P. Orsini, ore 10), il pro­prio con­gresso (dibat­tito gene­rale, rin­novo delle cari­che sociale). La Rete vive da qual­che anno come pro­getto di uni­fi­ca­zione e orien­ta­mento dei comi­tati di base, soprat­tutto in Toscana, ma con rap­porti in Ligu­ria, Emi­lia, Mar­che e ora anche Roma.

La pro­spet­tiva della Rete è quella che ho defi­nito neoam­bien­ta­li­smo ita­liano, e con­si­ste fon­da­men­tal­mente di tre punti: 1) La Rete nasce dal basso e vi resta sal­da­mente anco­rata: i comi­tati ne sono gli irri­nun­cia­bili sog­getti; 2) La Rete serve a uni­fi­care le ini­zia­tive dei sin­goli comi­tati in una visione stra­te­gica comune, che aumenta anche il poten­ziale di cia­scuno di loro; 3) Impor­tan­tis­simo: la Rete fonde le spinte di cit­ta­di­nanza pro­ve­nienti dalla base e le diverse, neces­sa­rie con­tri­bu­zioni intel­let­tuali e tecnico-scientifiche nei mede­simi orga­ni­smi di dire­zione. Dei sin­goli comi­tati e della Rete mede­sima: gli intel­let­tuali smet­tono il loro tra­di­zio­nale, un po’ comodo lavoro di con­su­lenza sepa­rato, e diven­tano pro­ta­go­ni­sti del movi­mento, accanto a cit­ta­dini di ogni con­di­zione e pro­fes­sione (rinun­ciare a que­sto ora sarebbe gravissimo).

Non c’è qui né lo spa­zio né il tempo per trac­ciare un bilan­cio. Osser­ve­rei sol­tanto che nel frat­tempo il clima nei con­fronti del pro­blema ambien­tale almeno in Toscana è cam­biato, se è vero che a opera della Regione sono in gesta­zione avan­zata due impor­tanti ini­zia­tive legi­sla­tive, la nuova legge urba­ni­stica e il piano pae­sag­gi­stico, la cui ado­zione, auspi­ca­bil­mente entro i pros­simi mesi, potrebbe for­nire modelli di com­por­ta­mento per tutte le altre regioni ita­liane. Tut­ta­via altri pro­blemi immensi pen­dono. Per citare solo alcuni degli esempi più cla­mo­rosi: la deva­sta­zione, anzi la vera e pro­pria distru­zione di un gio­iello della natura come le Alpi Apuane; lo sfrut­ta­mento spe­cu­la­tivo della geo­ter­mia sull’Amiata; l’incompiuta difesa e il neces­sa­rio recu­pero di un luogo deva­stato come la Piana di Firenze.

Nasce da que­sto par­zia­lis­simo elenco un discorso anche di carat­tere più gene­rale. Anche in que­sto caso assai recen­te­mente, per farmi meglio capire, ho por­tato a un’altra assem­blea della Rete il reso­conto ste­no­gra­fico della seduta di mar­tedì 25 feb­braio 2014 della Camera dei Depu­tati, con­te­nente la discus­sione sulle dichia­ra­zioni del governo da parte di ben undici gruppi par­la­men­tari, la replica del can­di­dato Pre­si­dente del Con­si­glio, Mat­teo Renzi, signi­fi­ca­ti­va­mente ex sin­daco di Firenze, le suc­ces­sive dichia­ra­zioni di voto dei rap­pre­sen­tanti dei gruppi: insomma, cin­quan­ta­quat­tro inter­venti per com­ples­sive 86 pagine. Ebbene, in que­sta mole pres­so­ché ster­mi­nata di pro­fes­sioni di fede e nella rispo­sta del can­di­dato Pre­si­dente del Con­si­glio, la parola «ambiente» non viene mai, mai!, nomi­nata. Il pro­blema, cioè, per i nostri rap­pre­sen­tanti, di ogni colore e natura, evi­den­te­mente non esi­ste. Gli effetti si vedono sul nostro ter­ri­to­rio, sul nostro pae­sag­gio, sulle nostre città. Con­sumo di suolo e sfrut­ta­mento eco­no­mico indi­scri­mi­nato e deva­stante dei nostri più pre­ziosi beni cul­tu­rali restano le parole d’ordine, cui le nostre classi diri­genti anco­rano le loro fortune.

Se le cose stanno così, allora non ci si può accon­ten­tare di ciò che bene o male siamo finora riu­sciti a fare, La Rete o, ancora meglio, una Rete di Reti, deb­bono diven­tare un modello di com­por­ta­mento sem­pre più gene­ra­liz­zato. Cioè: non dob­biamo limi­tarci a difen­dere sin­goli punti dell’ambiente. Dob­biamo fare poli­tica, poli­tica nel senso più pro­prio del ter­mine, — tutto ciò che riguarda la polis, vale a dire noi e i nostri figli, sia pure nel nostro ambito: ambiente, pae­sag­gio, ter­ri­to­rio, salute pub­blica. Per­ché ambiente, pae­sag­gio, ter­ri­to­rio, salute pub­blica, non sono più que­stioni par­ti­co­lari e par­ziali: sono la nostra vita e ancor più il nostro modo di viverla. Gli spazi sono immensi, le forze mode­ste. Ma come dimo­stra l’esempio del sot­toat­tra­ver­sa­mento fer­ro­via­rio di Firenze, ancora tutto aperto, non c’è bat­ta­glia che sia per­duta in partenza

No al tunnel TAV

22 marzoIl Pd di Renzi-Nardella tira dritto: “La Tav va fatta sotto Firenze”,

di RICCARDO CHIARI, Il Manifesto, 23 marzo 2014.

Il Pd di Mat­teo Renzi non ha dubbi: il farao­nico, costo­sis­simo e rischioso pro­getto del sotto-attraversamento fio­ren­tino dell’alta velo­cità deve andare avanti. “La Tav è un pro­getto nazio­nale di Fer­ro­vie dello Stato, e ci augu­riamo che que­sto can­tiere riprenda il prima pos­si­bile”. Parole di Dario Nar­della, neo depu­tato tor­nato vice­sin­daco per­ché il lea­der lo vuole in Palazzo Vec­chio. Un can­di­dato sin­daco che, alla vigi­lia delle odierne pri­ma­rie di un par­tito che gli ha subito tolto dai piedi l’unico peri­colo (Euge­nio Giani), snobba l’invito del comi­tato “No tun­nel Tav” ad una gior­nata di ana­lisi — eccel­lente — sulle enormi cri­ti­cità della grande opera. Con in paral­lelo la pre­sen­ta­zione di quella alter­na­tiva, di super­fi­cie, esi­stente fin dagli anni ’90. Diven­tata oggi un raf­fi­nato e inno­va­tivo maxi­pro­getto di sistema fer­ro­via­rio inte­grato per l’area metro­po­li­tana fio­ren­tina. Meno impat­tante. Assai meno costoso. Ben più utile per un traf­fico fer­ro­via­rio che, dati alla mano, conta molti più pen­do­lari locali – pena­liz­za­tis­simi — che utenti Tav.

Per giunta sul nodo di Firenze, e più in gene­rale sull’intero per­corso dell’alta velo­cità che da Bolo­gna arriva nel capo­luogo toscano, pesano costi stra­to­sfe­rici per la col­let­ti­vità. Anche senza con­si­de­rare il sotto-attraversamento, con annessa una nuova, grande sta­zione sot­ter­ra­nea a soli due chi­lo­me­tri dalla cen­trale Santa Maria Novella, la tratta appen­ni­nica di 78,5 chi­lo­me­tri è costata la cifra record di 96,4 milioni al chi­lo­me­tro. Una somma enorme, cui dovrebbe aggiun­gersi almeno un altro miliardo e mezzo per il pas­sante fio­ren­tino. Di più: le inda­gini della magi­stra­tura, e il pro­cesso per le deva­sta­zioni ambien­tali in Mugello che si è appena (ri)concluso in corte d’appello dopo che la Cas­sa­zione ha fis­sato alcuni impor­tanti punti fermi, hanno sco­per­chiato un vaso di pan­dora da cui è uscito l’intero codice penale o quasi. Tanto da aver bloc­cato, da più di un anno, i lavori del pas­sante sotterraneo.

In que­sto con­te­sto, tanto dram­ma­tico quanto abi­tuale per gli stu­diosi delle pato­lo­gie inva­ria­bil­mente con­nesse alle grandi opere ita­liane, il giu­di­zio di Alberto Asor Rosa è ful­mi­nante: “Se que­sti for­mi­da­bili errori non fos­sero com­messi per motivi di inte­resse eco­no­mico, non smet­te­reb­bero certo di essere di una gra­vità ecce­zio­nale. Se die­tro non ci fosse la cor­ru­zione, anche se fos­sero fon­dati solo su un ragio­na­mento sba­gliato dal punto di vista tec­nico, vor­rebbe dire comun­que che il cer­vello delle nostre classi diri­genti è finito in pappa”.

Anche Asor Rosa, che pre­siede la Rete dei comi­tati per la difesa del ter­ri­to­rio, ha fatto sen­tire la sua voce alla sala delle ex Leo­pol­dine in piazza Tasso. Insieme a quelle di Maria­rita Signo­rini di Ita­lia Nostra, Fau­sto Fer­ruzza di Legam­biente, e ad inge­gneri, urba­ni­sti, archi­tetti e geo­logi (Alberto Ziparo, Mas­simo Perini, Gior­gio Piz­ziolo, Vin­cenzo Abruzzo, Roberto Budini Gat­tai, Alberto Magna­ghi, Mauro Chessa, Teresa Cre­spel­lani, Enrico Becat­tini, Man­lio Mar­chetta e Ales­san­dro Jaff). Del resto fra gli orga­niz­za­tori della gior­nata c’era anche il “Lapei”, il Labo­ra­to­rio di pro­get­ta­zione eco­lo­gica degli inse­dia­menti, nato sotto l’egida dell’ateneo fio­ren­tino. Men­tre, sull’altro piatto della bilan­cia, a dare for­fait non è stato il solo Nar­della: il neo vice­mi­ni­stro Ric­cardo Nen­cini, mugel­lano, ha girato alla larga da piazza Tasso, così come Con­fin­du­stria, Con­far­ti­gia­nato, e gli stessi sin­da­cati confederali.

Sul punto, a nome del comi­tato No tun­nel Tav, l’ex fer­ro­viere Tiziano Car­dosi non ha nasco­sto l’amarezza: “Qual­cuno ci ha detto che aveva altri impe­gni. Qual­cun altro ha ammesso che non se la sen­tiva di rom­pere certi equi­li­bri. Ma se certi ragio­na­menti arri­vano anche dalle asso­cia­zioni di cate­go­ria, vuol dire che ad essere ‘malato’ c’è qual­cosa di più pro­fondo della sem­plice dina­mica partitico-politica”. Quest’ultima resta comun­que il fat­tore deci­sivo: “Abbiamo un nuovo pre­si­dente del con­si­glio che vuole agire con la spen­ding review per recu­pe­rare gli spre­chi di denaro pub­blico — osserva Ornella De Zordo — sce­gliere l’opzione del pas­sag­gio in super­fi­cie, in una città che lui cono­sce bene, sarebbe un’ottima occa­sione per pas­sare dalle tante parole ai fatti”. Con­ferma Asor Rosa: “Se Renzi volesse, nella sua posi­zione avrebbe la pos­si­bi­lità di eser­ci­tare una fun­zione molto rile­vante”. Se.

 

 

La Orte-Mestre e il paesaggio che scompare

no-autostrada-orte-mestre“Chi semina asfalto, raccoglie traffico”. È un’attacco all’articolo 9 della Costituzione il via libera all’autostrada di 396 chilometri tra Lazio e Veneto. Costerà quasi 10 miliardi di euro.

L’itinerario tra Orte e Mestre è un viaggio lungo l’articolo 9 della Costituzione perché attraversa aree straordinarie del punto di vista paesaggistico. Si risale il Tevere fino alle sorgenti, attraversando Umbria e Toscana, poi il Parco nazionale del Casentino, e si scende verso la Romagna. Da lì, si arriva a Venezia attraversando le valli di Comacchio e del Mezzano e infine il Parco del Delta del Po e la bellissima Riviera del Brenta.

È un viaggio unico se si sceglie di compierlo a “passo lento”, ma potrebbe diventare l’ennesimo paesaggio che scompare veloce lungo un’autostrada: a novembre 2013 il Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) ha dato il via libera al progetto preliminare della Orte-Mestre. Lunga 396 chilometri, “l’Autostrada del Sole del ventunesimo secolo”.

L’opera costerà almeno 9,844 miliardi di euro e dovrebbe essere realizzata in regime di concessione di costruzione e gestione, cioè in project financing: a pagare, cioè, dovrebbe essere il “privato”
“legge Obiettivo”, tra le opere strategiche – ha scelto di sostenere indirettamente parte dei costi, visto che nei primi 15 anni di gestione il come riassumono gli attivisti che in Veneto sono impegnati per contrastare l’opera, sono “gli interessi di pochi sulla pelle di molti”, come si legge su uno striscione, appeso lungo il Naviglio del Brenta.

Dietro lo striscione ci sono campi coltivati. Terreni agricoli che non sono attraenti per “chi semina asfalto”, e “raccoglie traffico”, come spiega il sito della Rete nazionale Stop OR_ME, che da Terni a Mira raccoglie associazioni ambientaliste e comitati di base contrari all’opera. Potete seguirli su www.stoporme.org

Luca Martinelli (Altreconomia)

Il video di Altreconomia

La novità di Renzi: le mani sulla città.

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Repubblica, con buona pace dell’art. 9 della costituzione, lo sostiene, di TOMASO MONTANARI, Il Fatto Quotidiano, 13 marzo 2014.

Non c’è davvero nulla di nuovo in Matteo Renzi, a parte la grinta: c’è solo un intenso bricolage che ritaglia da destra, e incolla malamente a sinistra, spezzoni di pensiero, parole d’ordine, slogan. Uno dei più impresentabili che Renzi ha preso di peso dal repertorio populista e selvaggiamente liberista di Silvio Berlusconi è il “padroni in casa propria”. Un’idea texana della convivenza civile che significa che ciascuno deve essere libero di cementificare, sfigurare, distruggere pezzi di ambiente, di paesaggio, di patrimonio storico artistico.

Fin da quando era sindaco, Renzi ha polemizzato aspramente contro quelle che chiama “le catene” imposte dalle soprintendenze, istituzioni “ottocentesche” che impedirebbero la “modernizzazione del Paese”. “Sovrintendente – ha scritto nel suo tragicomico libro Stil novo – è una delle parole più brutte di tutto il vocabolario della burocrazia. È una di quelle parole che suonano grigie. Stritola entusiasmo e fantasia fin dalla terza sillaba. Sovrintendente de che?”. Renzi sembra non accorgersi di vivere in un paese massacrato da uno “sviluppo” pensato solo in termini di cementificazione: un paese compromesso non dai troppi no, ma semmai dai troppi sì, delle soprintendenze. E non sono solo le opinioni di Renzi, a preoccupare: è il suo governo di Firenze a far capire come la pensi in fatto di cemento. Vezio De Lucia ha notato come nel piano strutturale del 2010 “le previsioni relative alla proprietà Fondiaria (un milione e 200 mila metri cubi) sono riportate come fossero già attuate: per non smentire la propaganda del sindaco Renzi a favore del piano a sviluppo zero”. Sapendo che il cemento non è telegenico, Renzi cerca di non parlarne troppo. Tanto più stupisce che sia un giornale come Repubblica – subito improbabilmente seguito da Italia Oggi – ad abbracciare, in scala uno a uno, un simile programma. Archiviato il pensiero di Antonio Cederna, sconfessato quello di Salvatore Settis, ora è Giovanni Valentini a scrivere sul giornale di De Benedetti che “troppo spesso le soprintendenze diventano fattori di conservazione e di protezionismo in senso stretto, cioè di freno e ostacolo allo sviluppo, alla crescita del turismo, e dell’economia”.

L’articolo, in prima pagina domenica scorsa, ha lasciato basiti migliaia di lettori che vedevano da sempre in Repubblica un presidio sicuro per la difesa dell’articolo 9 della Costituzione: e da allora si susseguono sul web risposte incredule e indignate di associazioni, funzionari di soprintendenza, singoli cittadini.

È in questa prospettiva che Renzi diventa il campione delle “mani libere” contro le soprintendenze, che l’avrebbero ostacolato nell’allestimento della cena della Ferrari su Ponte Vecchio e fermato nei “sondaggi tecnici” sulla Battaglia di Anghiari di Leonardo in Palazzo Vecchio. Peccato sia tutto falso: sull’osceno noleggio del ponte l’asservita soprintendenza fiorentina non ha aperto bocca, ed è stata una partita tutta giocata dal Comune, con tanto di permesso ufficiale concesso il giorno dopo la manifestazione, e con un incasso pari alla metà di quello sbandierato da Renzi. Quanto a Palazzo Vecchio, giova ricordare che la Battaglia di Anghiari semplicemente non esiste, e che Renzi è stato fermato non dalla soprintendenza (anche in quel caso succube), ma dalla comunità scientifica internazionale, compattamente insorta contro una farsa pseudoscientifica che fa ancora ridere i direttori dei più grandi musei del mondo. Ma i banali dati di fatto non devono oscurare la retorica del Presidente del Fare che spezza trionfalmente i lacci e i lacciuoli frapposti da questa oscura genìa di burocrati. A quando un suo ritratto a torso nudo, mentre aziona una betoniera calpestando l’articolo 9?

L’altra faccia di questa usurata medaglia è l’incondizionato inno ai salvifici privati. Chiedendo la fiducia al Senato, l’unica cosa che Renzi ha saputo dire sulla cultura è che “se è vero che con la cultura si mangia, allora bisogna fare entrare i privati nel patrimonio culturale”. Peccato che i privati ci siano da vent’anni, nel patrimonio, e che a mangiarci da allora non sia lo Stato, ma solo un oligopolio di concessionari fortemente connessi con la politica. E la ricetta è tanto originale che il punto 41 di Impegno Italia (il documento cui ha inutilmente provato ad aggrapparsi Enrico Letta) prevedeva un’unica ideona: “Incentivare lo sviluppo dei servizi aggiuntivi da dare in concessione ai privati”.

Di fronte ai crolli di Pompei, Renzi ha gridato: “L’Italia è il paese della cultura, e allora sfido gli imprenditori: che state aspettando?”. Quando era sindaco di Firenze, Renzi sfidava sistematicamente lo Stato a fare il proprio dovere in fatto di tutela del patrimonio. Ora che lo Stato è lui, sfida gli imprenditori. Fosse il presidente di Confindustria, ce l’avrebbe con gli enti locali. Non c’è davvero nulla di nuovo, se non che il repertorio da palazzinaro anni Sessanta è passato tale e quale dal fondatore di Forza Italia al segretario del Partito democratico. È il manifesto di una nuova stagione di Mani sulla città, un ritorno alla bandiera inverosimile del “più cemento = più turismo”. E siamo solo all’inizio.

NB: Per leggere tutti gli interventi a proposito dell’articolo di Giovanni Valentini si rimanda al sito Carte in regola