Il Parco Regionale delle Alpi Apuane e il Piano Paesaggistico: un passo avanti verso la civiltà?
di FRANCA LEVEROTTI, 18 Febbraio 2014, da Eddyburg.
Mentre auspichiamo che il piano paesaggistico possa entrare in vigore al più presto, sfuggendo alle forche caudine della cattiva politica, per dare una risposta certa e concreta al consumo di suolo, portiamo all’attenzione la contraddizione di una Regione che favorisce da decenni una devastazione senza precedenti in un Parco Regionale, da due anni promosso GeoParco Unesco, cioè il Parco Regionale delle Alpi Apuane. Il Parco è nato con le cave al suo interno, è nato ostaggio della politica e di pochi industriali.
Qui in un’area di grande bellezza, all’interno di una vasta ZPS e di ben 10 SIC continuano a lavorare indisturbate, in totale violazione di tutti i commi dell’art. 142 del Codice, delle leggi europee di tutela della acque superficiali e carsiche, del principio di precauzione, una cinquantina di cave: miniere a cielo aperto e cave in galleria.
Cave adiacenti a geositi, cave sopra i 1.200 metri, all’interno di boschi, di circhi glaciali, cave di cresta, cave in prossimità di ingressi carsici, inghiottitoi e abissi tra i profondi d’Italia (ad esempio il Roversi: 1.350 m di dislivello), o tra i più estesi d’Italia (l’Antro del Corchia: 54 km di gallerie sotterranee), cave in diretta corrispondenza con le sorgenti con il risultato che, dopo le piogge, i fiumi invasi dalla marmettola sono bianchi come il latte.
Estrazione significa devastazione, dal momento che una legge regionale consente che solo il 25% del marmo estratto sia costituito da blocchi; il 75% sono perciò informi, scaglie, che vengono utilizzati nelle industrie farmaceutiche, alimentari, nella colla per piastrelle, nelle creme, nei dentifrici: l’alta percentuale di carbonato di calcio le rende un ottimo sbiancante e anche lo schermante ideale per materiale radioattivo (e qui si potrebbe aprire una parentesi sulle navi dei veleni partite dal porto di Marina di Carrara e autoaffondate davanti alle coste calabresi, ma attendiamo il materiale de-secretate recentemente dall’on. Boldrini). Dalla pesa pubblica della sola città di Carrara sono passati, tra 2001 e 2010, 50 milioni di tonnellate di marmo, un dato certamente inferiore alla realtà, che offre la misura della immane distruzione di queste montagne, teoricamente tutelate per legge, essendo in gran parte all’interno di un Parco.
Non siamo di fronte soltanto a violazioni della normativa italiana ed europea di tutela dell’ambiente, del paesaggio, del principio di precauzione, ma delle più elementari regole di pianificazione, nel momento in cui una normativa regionale consente di fare approvare in tempi diversi un piano del Parco (in cui non vi è menzione di cave!!!) ed un piano delle attività estrattive (già formulato quest’ultimo nel 2002, ma non varato fino ad oggi per l’ostilità dei concessionari che hanno trovato una sponda nei sindaci).
A gennaio sono scadute le osservazioni alla VAS limitatamente a quel piano del Parco silente sulle cave, che era stato contro dedotto nel 2012: un’assurdità la VAS inserita a fine percorso; così come privo di sostanza e di logica pianificatoria appare un piano del Parco che ignori la presenza delle 50 cave attive ed altrettanto assurdo si profila oggi l’avvio del piano per le attività estrattive.
In questo contesto si inserisce il Piano Paesaggistico approvato recentemente dalla Giunta , che relativamente alle cave nel Parco afferma di voler promuovere la “progressiva riduzione delle attività estrattive a favore di funzioni coerenti con i valori e le potenzialità del sistema territoriale interessato” e “il recupero paesaggistico delle cave dismesse” , “escludendo l’apertura di nuovi siti estrattivi e ampliamenti di quelli esistenti nelle aree ove le attività di coltivazione e quelle ad esse collegate possono compromettere la conservazione e la percezione dei siti”. Nelle norme di salvaguardia , che vietano ampliamenti nelle aree contigue intercluse del Parco, si specifica anche che continueranno le attività autorizzate svolte in conformità ai piani di coltivazione ed entro i termini indicati nei provvedimenti autorizzativi, conformi alla legge regionale 78/98: dunque continueremo a vedere vette tagliate, montagne demolite sopra i 1.200, sorgenti imbiancate fino alla scadenza delle concessioni, ed assisteremo impotenti alla distruzione del paesaggio in attesa della nuova legge regionale sulle cave che contemplerà – si spera – un diverso rapporto marmo in blocchi /marmo in scaglie.
Ebbene, di fronte ad un piano paesaggistico che prevede in un futuro indeterminato la chiusura di cave che per la loro natura sono illegittime in un Parco, di cave che inquinano le acque di superficie e le cavità carsiche, di cave che violano l’art. 142 del Codice in tutti i suoi commi, fuori luogo e impropria, per la carica che riveste, appare l’esternazione dell’attuale presidente del Parco, pubblicata nei quotidiani locali, nel Corriere fiorentino…. Un Presidente del Parco, scelto dalla politica, che , sotto il pretesto di posti di lavoro, ignora la devastazione ambientale per difendere la lobby dei concessionari.
Certamente l’economia degli abitanti del Parco e delle aree contigue non può trovare beneficio nell’attività distruttiva delle cave: pochi sono gli addetti, sostituiti dalle macchine, e la filiera corta è scomparsa perché i concessionari trovano più remunerativo lavorare altrove i marmi. Sarebbe doveroso che la Regione cominciasse a promuovere il territorio, applicando e facendo applicare la disattesa sentenza della Corte Costituzionale (488/1995): le concessioni a Massa e a Carrara devono diventare temporanee ed onerose, le rendite parassitarie devono sparire, e “i canoni annui di beni appartenenti al patrimonio indisponibile dei comuni” devono essere determinati secondo un valore “non inferiore a quello di mercato”. Non lo dicono gli ambientalisti, lo dice la legge, lo impone la sentenza della Corte Costituzionale ignorata fino ad oggi dalle amministrazioni locali, con il consenso di una inattiva Regione.
Oggi a Massa le cave si lasciano in eredità, si vendono , si subappaltano; il Comune riscuote un canone annuo sulla base del reddito agrario e preleva da ogni tonnellata di marmo in blocchi (indipendentemente dalla qualità del marmo, il cui valore oscilla da 300 a 4.000 euro a tonnellata) euro 8,30.
Il futuro di questa zona può e deve trovare un volano in un piano paesaggistico che riconosca al Parco l’essenza di area protetta e in una legge sulle cave che restituisca il giusto valore ad una risorsa non rinnovabile, e che renda applicabile, dopo venti anni, la sentenza della Corte Costituzionale.
L’autrice è Consigliere nazionale di Italia Nostra