di Paolo Berdini, il manifesto, 10 gennaio 2014.
Con la bozza del JobsAct, Matteo Renzi ha iniziato a rendere chiaro il perimetro culturale in cui intende muoversi. E oltre alle puntuali osservazioni critiche sul tema dell’occupazione scritte da Giuseppe Allegri sul manifesto di ieri, c’è un punto della bozza – il capitolo 7 “burocrazia” della parte dedicata al “sistema” — che apre un velo preoccupante sulle intenzioni dell’astro nascente dell’afittica politica italiana.
In questo caso al centro della scena non ci sono i ragionamenti e le proposte sul lavoro. Al punto 7 si afferma che si intende applicare alle strutture demaniali ciò che vale oggi per gli interventi militari. E’ scritto proprio così, e per essere ancora più chiaro: «I sindaci decidono destinazioni, parere in 60 giorni di tutti i soggetti interessati, e poi nessuno può interrompere il processo».
Il delicato problema della decisione sull’utilizzazione degli immobili pubblici dismessi diventa dunque un problema simile alla sicurezza militare e a decidere deve essere una sola persona, il sindaco, calpestando regole e democrazia, perché i consigli comunali non sono neppure citati.
C’è in questa proposta una convinta apertura alla grande svendita dei beni pubblici, un fatto di per sé molto grave e speriamo che dentro il Pd si alzino voci contrarie. Ma c’è soprattutto una gigantesca questione democratica.
Il gruppo dei pensatori attorno al sindaco di Firenze pensa evidentemente — spiace scriverlo, ma è proprio così– al modello istituzionale del ventennio fascista in cui era il podestà a decidere senza l’inutile impaccio dei consigli comunali.
Come è noto, è in atto una fortissima pressione da parte dei grandi poteri economici e finanziari per accaparrarsi a pochi soldi le proprietà pubbliche, dalle caserme ai beni demaniali, come abbiamo visto nella recente discussione sul patto di stabilità quando tra le nuove misure era comparsa (poi fortunatamente cancellata) perfino la vendita delle spiagge. Renzi si schiera dalla parte di questi poteri.
Il JobsAct è ancora in forma di bozza, l’invito è a dare suggerimenti e magari diranno che sul punto si sono sbagliati: ma dalla sua prima scrittura si comprende meglio quali siano i motivi profondi dell’entusiasmo che Renzi ha riscosso da parte del sistema dominante economico e della comunicazione: neppure Berlusconi, pur avendo approvato decine di leggi derogatorie, era riuscito a pensare una norma di questo tipo.
Renzi va oltre, rompe ogni indugio e si accredita come colui che demolirà ogni residua regola nelle città e nell’ambiente. Il modello della riforma elettorale chiamato del “sindaco d’Italia” non poteva avere peggior preludio.
E per meglio precisare il concetto di democrazia che ha in mente, il gruppo renziano, alla conclusione del citato articolo 7 afferma che non sarà più possibile chiedere «la sospensiva nel giudizio amministrativo». I comitati che animano le iniziative in tutta Italia sono serviti: non debbono disturbare il manovratore. Una norma palesemente insensata e incostituzionale, perché non si possono sconvolgere regole e il codice civile con la scusa della vendita degli immobili pubblici: correranno ai ripari, ma fin d’ora converrà stare molto attenti al Sindaco d’Italia.