di VEZIO DE LUCIA, su Eddyburg, 13 Ottobre 2013.
Finalmente una buona notizia per l’urbanistica italiana. Viene dalla Toscana ma dovrebbe avere riflessi positivi per l’intero Paese.
Mi riferisco alla proposta di riforma della legge urbanistica approvata nei giorni scorsi dalla Giunta regionale.
Si tratta di un provvedimento ampio e complesso, ben 226 articoli, che:
- riorganizza le procedure e le regole relative all’informazione e alla partecipazione (rafforzando i poteri d’intervento regionali);
- istituisce il monitoraggio dell’esperienza applicativa della legge e della sua efficacia;
- introduce il suggestivo concetto di «patrimonio territoriale»;
- valorizza la pianificazione di area vasta; immette le politiche abitative fra i contenuti della pianificazione urbanistica;
- rafforza le regole di prevenzione e mitigazione dei rischi sismici e idrogeologici;
- valorizza l’attività agricola e il mondo rurale;
- corregge il lessico (il «regolamento urbanistico» diventa più correttamente «piano operativo»);
- riduce i tempi della pianificazione (gli attuali 6 anni in media per i piani comunali dovrebbero ridursi a 2);
- adegua la legislazione regionale al Codice del paesaggio.
Sono tutti importanti contenuti sui quali avremo occasione di tornare. Ma la svolta dirompente riguarda le norme che inibiscono il consumo del suolo, e soprattutto su di esse si sta concentrando la discussione. Nel presentare la proposta insieme all’assessore Anna Marson, il presidente Enrico Rossi ha dichiarato: «Tracciamo una linea netta tra territorio urbanizzato, in cui concentrare l’attività edilizia, soprattutto promuovendo riuso e riqualificazione, e territorio rurale, in cui non saranno consentite nuove edificazioni residenziali». Ed è esattamente questa la novità che più di ogni altra caratterizza e qualifica la proposta. La cui elaborazione è partita dall’analisi critica delle norme vigenti: in effetti, dal 1990 la Toscana è dotata di precetti volti a contenere il consumo del suolo, la legge vigente (n. 1/2005) prevede che «nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative di riutilizzazione e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti» (art 3). Ma soprattutto a causa della carenza di verifiche e di piccole furbizie, la norma non ha impedito il dilagare incontrollato dell’urbanizzazione.
Per rendere davvero efficace la riduzione al minimo del consumo del suolo (obiettivo tenacemente sostenuto dall’assessore Marson) il nuovo disegno di legge (art. 4) introduce la rigorosa perimetrazione del territorio urbanizzato. In sostanza, il territorio di ogni comune è diviso in due parti: quella urbanizzata e quella rurale. All’interno del territorio urbanizzato deve essere concentrato ogni nuovo intervento di nuova edificazione o di trasformazione urbanistica. All’esterno del territorio urbanizzato non sono mai consentite nuove edificazioni residenziali. Sono invece possibili limitate trasformazioni di nuovo impianto per altre destinazioni, solo se autorizzate dalla conferenza di pianificazione di area vasta (alla quale partecipa la Regione) cui spetta di verificare che non sussistano (anche nei comuni limitrofi) alternative di riuso o riorganizzazione di insediamenti e infrastrutture esistenti. Finisce la stagione degli ecomostri e delle villette a schiera.
Meglio di così mi pare impossibile. Il pregio della proposta toscana si coglie appieno confrontandola con le proposte di legge per il contenimento del consumo di suolo presentate in Parlamento negli ultimi tempi: sono finora ben 13 (8 alla Camera e 5 al Senato), presentate dal governo e da quasi tutte le forze politiche. I dispositivi previsti sono in genere molto complicati, certe volte bizzarri, o addirittura controproducenti: anche di questo tratteremo in altra occasione. Mi sembra solo importante ricordare che mentre in tutte le sedi ci si affanna a proporre nuove leggi nazionali, giace dimenticata una buona legge, misteriosamente approvata all’inizio del 2013 (n. 10, «Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani»), che rappresenta una base più che sufficiente per avviare, se non altro in via sperimentale, politiche nazionali e locali di contenimento del consumo di suolo. Ma nel nostro Paese, com’è noto, alla gestione delle politiche si preferisce generalmente la scorciatoia di una nuova legge. È meno faticoso e dà più visibilità.
In conclusione mi permetto di suggerire al presidente Rossi e all’assessore Marson che, mentre si avvia il dibattito in Consiglio regionale, si attivino per far conoscere al meglio su scala nazionale la loro proposta di riforma, rivendicando consapevolmente il primato della Toscana nei temi del consumo del suolo.