Il 17 e 18 maggio, a Milano, un convegno sul «ritorno alla terra», organizzato dalla Società dei Territorialisti/e.
Piero Bevilacqua, Il Manifesto, 16 maggio.
La crisi economico finanziaria che ha depresso l’immaginario trionfante dell’Occidente sta accelerando processi molecolari e inosservati di trasformazione culturale e sociale del nostro Paese. La vecchia talpa scava in segreto le sue gallerie . Si tratta, per la verità, di fenomeni avviati da tempo e già rilevati da alcuni osservatori non conformisti, ma che oggi divengono più visibili di fronte al tracollo di opportunità di lavoro e di vita, talora anche di senso, offerto dalle città e dal mondo industriale. Un silenzioso fiume fatto di individui isolati, di giovani e non giovani, di uomini e donne con profili culturali diversi, sparsi in tutte le regioni d’Italia, risale controcorrente il Belpaese in cerca di approdi nuovi negli spazi delle nostre campagne. Il flusso si scontra contraddittoriamente con un fenomeno opposto: l’esodo molecolare e l’abbandono di tanti nostri borghi appenninici e aree interne, che perdono scuole e ospedali, uffici postali e stazioni dei carabinieri, giovani e bambini. E’ questo un grande tema sia demografico che economico e ambientale su cui occorrerà ritornare non episodicamente. Ma il rifugio in campagna sembra l’avvio di un’altra storia, l’apertura di una nuova pagina culturale, mentre l’esodo dalle aree interne appare più come il movimento ultimo e inerziale di un processo in atto da decenni e che ora si va esaurendo.
Che cosa richiama tanti isolati individui nelle nostre campagne? L’agricoltura, la pratica millenaria di mettersi in relazione quotidiana con la terra per ricavarne beni agricoli. Talora l’allevamento, soprattutto di capre, che giovani usciti dalle Università intraprendono per fare formaggi eccellenti. Ma detta così è banale. In realtà si pensa poco al grandioso mutamento, realizzatosi negli ultimi anni sotto i nostri occhi, senza che noi fossimo in grado di afferrarne la profondità. L’agricoltura, la più antica pratica economica della storia umana, ha subito delle trasformazioni, non tanto delle sue tecniche, quanto delle sue funzioni, che non hanno nessun termine di paragone negli altri ambiti dell’attività produttiva del nostro tempo. Come in gran parte d’Europa, questa antica attività destinata all’alimentazione umana ha visto esplodere una miriade di finalità a cui può corrispondere e di cui è diventata la sorgente. Sulla terra, infatti, non si producono solo beni agricoli, ma si protegge e si rielabora il paesaggio, si cura il suolo, rigenerandone la fertilità: la fertilità, questo principio di vita e di riproduzione che si credeva risolto con la concimazione chimica e che oggi torna come necessità imperiosa sui suoli mineralizzati e isteriliti delle agricolture industriali. Ma al tempo stesso si difende il terreno dall’erosione, si alimenta la biodiversità agricola, si conserva la salubrità dell’aria e dell’acqua, si tutela il verde e l’ambiente, lasciandolo ben curato alle nuove generazioni, si organizzano nuove modalità di turismo e di fruizione del tempo libero, si riscoprano vecchie radici di cultura enogastronomica (la moltitudine delle cucine locali, patrimonio insigne della nostra civiltà materiale), si recuperano saperi manuali in via di estinzione, si riattivano forme cooperative di lavoro e di vita in comune, si curano gli handicap (fattorie sociali), si praticano forme innovative di apprendimento (fattorie didattiche). Insomma, sulla terra, diventata erogatrice di una molteplicità di servizi avanzati, si realizzano nuovi sfili di vita, che possono fare concorrenza alle condizioni di esistenza nella città, diventata, per un numero crescente di cittadini, fonte di disagio e di frustrazioni insostenibili.
I nostri frenetici e abbaglianti centri urbani, paradisi in terra per i nostri deliri consumistici, oggi fanno pagare un prezzo sempre più alto per la frequentazione del loro lunapark. Senza dire che innumerevoli disperati extracomunitari, che arrivano nel nostro Paese provenendo da distretti rurali di paesi africani o dell’Est europeo, vengono rinchiusi nei lager dei Cie ed espulsi come criminali, mentre potrebbero inserirsi in un grande flusso demografico di ripopolamento delle aree interne e di valorizzazione dell’agricoltura. Ancora oggi, a causa della cultura miserabile, della xenofobia infantile di alcuni uomini arrivati alla guida dei nostri governi, l’Europa è una terra di barriere, il Mediterraneo un mare chiuso e pattugliato, mentre dovrebbe essere il nostro vasto e prossimo orizzonte, lo spazio di un nuovo mondo cosmopolita, da cui far giungere l’energia di popoli giovani per la rivitalizzazione delle nostre campagne.
Il processo appena descritto, oggi lasciato alla sua spontaneità, potrebbe diventare un grandioso progetto per creare nuovi posti di lavoro, per ripopolare le aree inteme, per proteggere il nostro territorio senza ricorrere a “grandi opere”, per creare nuove economie valorizzando le risorse (terre, acque, boschi) oggi abbandonate. Sulle nostre colline, per secoli è fiorita un’agricoltura che ha reso possibile la vita delle nostre cento città, che ha fornito alimenti alle popolazioni dedite all’artigianato, alla mercatura, all’arte. Oggi potrebbe ospitare un’agricoltura di qualità in cui far rivivere, in forme nuove, la straordinaria biodiversità agricola della nostra incomparabile civiltà agraria.
Purtroppo, tra i fenomeni che percorrono il nostro tempo occorre considerare anche quello che ha svuotato i partiti politici -vale a dire gli strumenti con cui un tempo si governavano i processi di mutamento – di ogni cultura sociale, di ogni capacità di progetto. Non facciamo neppure cenno alla cultura materiale e ambientale: gli uomini politici abitano in un sopramondo artificiale senza alcun rapporto con la terra. Essi vivono alla giornata, nella fase storica in cui più acutamente si avverte il bisogno di scorgere un orizzonte, di capire dove si può andare. Per affrontare con strumenti analitici e discussioni mirate i fenomeni oggi in atto si svolgerà a Milano domani e sabato il convegno ‘Ritorno alla terra per la sovranità alimentare e il territorio bene comune”. A organizzarlo è la Società dei territorialisti , l’organizzazione promossa da Alberto Magnaghi, che mette insieme una comunità di saperi esperti del nostro territorio davvero non comune: dagli urbanisti ai geografi, dagli storici agli agronomi, dai sociologi agli architetti.
Si spera che i media si accorgano dell’evento. Soprattutto si spera che quella frazione dignitosa del giornalismo italiano, che pure esiste, concorra ogni tanto a mostrare anche l’Italia che pensa, che non ha divi da esibire, o ciarle partitiche da rappresentare, che opera per pura passione, tentando di migliorare le sorti del nostro Paese