Un commento di Paolo Baldeschi.
La recente sentenza del Consiglio di Stato (n. 6656/2012 del 21 dicembre) ribadisce, con ampie e interessanti argomentazioni, la non irreversibilità della destinazioni urbanistiche (a meno di convenzioni già stipulate fra comuni e privati). Il fatto che le previsioni dei piani regolatori non stabiliscano alcun diritto edificatorio da lungo tempo era stato sostenuto da Edoardo Salzano e da numerosi giuristi, quindi non costituisce una novità. La novità sta piuttosto nelle argomentazioni addotte dal Consiglio di Stato che travalicano l’ambito giuridico e procedurale per entrare nella sostanza della materia, con prese di posizioni di principio, assai importanti:
«l’urbanistica e il correlativo esercizio del potere di pianificazione non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo e armonico del medesimo; uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, non in astratto, ma in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi, sia dei valori ambientali e paesaggistici, delle esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, delle esigenze economico-sociali della comunità radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che s’intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione de futuro sulla propria stessa essenza, svolta per autorappresentazione ed autodeterminazione dalla comunità medesima» (corsivo nostro).
Quanti sono i piani regolatori, comunque chiamati, che tengono conto delle effettive esigenze di abitazione, dei valori ambientali e paesaggistici , del modello di sviluppo in considerazione di storia e tradizione? Infine, appare innovativo e significativo che l’urbanistica sia prefigurata come autodeterminazione della comunità interessata.
Sul piano giuridico, quindi, non vi sono novità, ma piuttosto una forte presa di posizione che varrà in futuri contenziosi. Tuttavia vi è da notare che la “trappola” non sta tanto nella pretesa irreversibilità delle destinazioni urbanistiche, quanto nelle tasse (ICI e ora IMU) che vemgono pagate dai proprietari sul valore delle aree fabbricabili, non al momento della loro vendita o utilizzazione, ma a partire dall’adozione del piano. Quindi si crea una situazione paradossale: un Comune può imporre una tassa per un piano regolatore che non sarà mai approvato o per un piano particolareggiato di iniziativa pubblica che non sarà mai realizzato. Succede perciò in molti casi, soprattutto quando vi sia una pluralità di proprietari interessati, che le destinazioni urbanistiche non stabiliscano uno stato di diritto, ma un’impossibilità finanziaria a “tornare indietro” nel caso che il regolamento comunale preveda la restituzione dell’IMU, o un’impossibilità “politica” nel caso contrario. Molto più logico sarebbe, come avviene in tutti i paesi del Nord Europa, che la tassazione fosse imposta al momento in cui la fabbricabilità diventa effettiva: o che fossero introdotte altre forme di “appropriazione” della rendita da parte del pubblico.
Rimane tuttavia un tema assai interessante: se la sentenza, in quanto proveniente dal massimo organo amministrativo, faccia giurisprudenza, cioè se i principi in essa contenute, possano essere applicati, indipendentemente dalla questione della reversibilità delle destinazioni urbanistiche: cioè se i piani debbano essere vagliati per la loro conformità ai principi enunciati e in particolare debbano essere intesi come autodeterminazione della comunità interessata, ciò che, in via minimale, implicherebbe che la partecipazione dei cittadini e le loro osservazioni dovrebbero avere un peso effettivo e determinante e non essere solo stanche formalità come avviene in tutte le regioni e anche in molti comuni toscani: questa sarebbe una vera innovazione.
Paolo Baldeschi