di Alberto Asor Rosa
dal manifesto del 28 luglio 2012
Giorni or sono ho pubblicato sul manifesto un articolo («Ma dove sono i partiti?», 13 luglio), in cui invitavo la futura concentrazione di governo di centro-sinistra a inserire fra i primi posti nella propria elaborazione il lavoro e l’ambiente; ma aggiungevo: «Niente di pacifico e di scontato, beninteso. Le mie esperienze degli ultimi anni mi spingono anzi a pensare che siano due fondamentali campi tematici in potenziale conflitto fra loro, soprattutto in tempo di crisi». La vicenda dell’Ilva di Taranto ne rappresenta una esemplificazione rapida e gigantesca. Come si fa a non essere d’accordo con il Gip Patrizia Todisco, quando intima l’immediata chiusura delle lavorazioni nocive e spedisce ai domiciliari i dirigenti dell’azienda che ne sono stati i responsabili? Come si fa a non essere d’accordo con gli operai che scendono in piazza per protestare contro l’eventuale, catastrofica perdita del lavoro?
L’anno scorso ho partecipato in Val di Chiana (vivace regione toscana in provincia di Arezzo) a una affollatissima assemblea ambientalista intesa a protestare contro la trasformazione di un innocuo, obsoleto, conservificio, in un’immensa centrale a biomasse, di cui esperti di altissimo livello, lì presenti, garantivano l’altissima nocività. L’assemblea fu interrotta dall’intervento di un massiccio drappello operaio, venuto a protestare contro opportunità e obiettivi dell’iniziativa. Interpellati a parte, nel corso dell’agitata sospensione: «Ma insomma, non v’interessa se la centrale a biomasse cagioni rischi gravi per voi, per i vostri figli e per i vostri concittadini?», la risposta fu: «No, prima di tutto il lavoro ». Nel frattempo il resto della sala rumoreggiava contro la non gradita intrusione. Il dato inquietante è che, in tutti i casi del genere, gli operai si schierano senza se e senza ma dalla parte del padrone, e non della cittadinanza (cui pure, ovviamente, appartengono); la cittadinanza si schiera dalla parte dell’ambiente, e non degli operai, cui altrettanto ovviamente, è legata da moltissimi vincoli di conoscenza e magari di parentela).
Più in generale: non esiste una posizione operaia sulle questioni dell’ambiente. Quanto al governo, sempre più fedele alla massima di discutibile origine, «primum vivere, deinde cogitare», il ministro dell’Ambiente (dell’Ambiente, dico), Corrado Clini, chiede che il provvedimento giudiziario venga riesaminato e puramente e semplicemente respinto. Ciò che voglio dire è che qui, su questo punto specifico, si apre un abisso, che rischia d’inghiottire ogni prospettiva di un diverso movimento riformatore. Nella crisi, infatti, le giustificazioni dell’attacco all’ambiente e al territorio – a qualsiasi prezzo e a qualsiasi condizione -, aumentano a dismisura. L’alleanza padronato-classe operaia rischia di diventare strategica. E se questo accadesse, non ci sarebbero più le forze per cambiare il mondo. L’ideologia delle grandi opere – la Tav in Val di Susa, la Tav di Firenze, eventualmente la ripresa del grande ponte sullo Stretto di Messina, in ogni caso la perdurante, ciclopica distruzione del territorio nazionale da parte della speculazione immobiliare – inutili, costose, altamente remunerative solo per alcuni e soprattutto altamente distruttive, poggia anch’essa su questo gigantesco ricatto: per lavorare bisogna far danno, alla salute, all’ambiente, al territorio e alla fine anche all’economia: non è possibile che accada altrimenti.
Invece non è vero. Questa è una parte davvero non irrilevante dell’inganno di cui è portatore il «pensiero unico», giustamente stigmatizzato dal gruppo degli economisti sul manifesto (24 luglio). Lavoro non contro l’ambiente e la salute e il benessere, in molteplici modi, dei cittadini; ma lavoro inserito armonicamente in un quadro di sviluppo rispettoso del diritto di sopravvivenza di tutti è possibile, purché l’ideologia dominante sia rovesciata. Essenziale, per cominciare, è che le due cose vengano pensate insieme e contemporaneamente, e non separatamente (come del resto cerca di fare sul manifesto Guido Viale, troppo poco ascoltato). Non è semplice, lo so bene anch’io, ma i fondamentali ci sono già tutti, bisogna sforzarsi di rimetterli insieme. Se invece dalla crisi si pensa di uscire contrapponendoli, andiamo diritti verso la catastrofe. Motivo di più per pensare, e non solo per chiacchierare.