IVAN CICCONI da domani sul sito del Fatto Quotidiano il libro nero dell’Alta Velocità
Il titolo scelto è quello più appropriato e il merito è di un caro amico che, in zona cesarini, me l’ha consigliato. In effetti il libro ricostruisce puntualmente la storia di questa grande opera, le cifre clamorose, le astuzie e i furbi che la punteggiano, i silenzi che la circondano, le scelte tecniche assurde, le bugie consapevoli e inconsapevoli, la clamorosa bugia del finanziamento privato, la truffa ai danni dello Stato e dell’Unione Europea.
Il racconto però incrocia le principali vicende della lunga e travagliata transizione dalla “prima” alla cosiddetta “seconda Repubblica”. Da quella della privatizzazione delle aziende pubbliche senza liberalizzazione a quella dell’ingresso nella moneta unica comunitaria e delle furbizie per eludere le regole europee. Da quella dei boiardi di Stato, con le loro corti di faccendieri, a quella dei magistrati e degli avvocati collusi, guidati non dalla legge ma pilotati e al soldo degli indagati. Da quella dei conflitti di interesse diffusi, coperti e alimentati dal conflitto di interesse per eccellenza, a quella della questione morale.
Nel libro queste vicende rimangono comunque nello sfondo, mentre la storia dell’Alta velocità, nelle intenzioni, viene proposta come chiave di lettura indispensabile di quello che è diventato un modello, il modello Tav, replicato negli Enti locali dai mariuoli dei partiti post-moderni, non più affaccendati a celebrare il rito a rischio della tangente ma trasformati in sanguisughe delle Istituzioni. In questo modello lo scambio tangentizio, prima celebrato da soggetti distinti e separati, è diventato intreccio e compromissione, con effetti ben più devastanti della Tangentopoli scoperchiata da Mani pulite. Nel modello Tav la spesa pubblica, quella nota e quella mascherata, diventa essa stessa una pseudo tangente che consente di allestire tavole imbandite per l’abbuffata dei partiti, tutti; delle imprese di diritto privato di proprietà pubblica, tutte; delle imprese private cooptate nel banchetto da boiardi e faccendieri o penetrate nell’affare in cambio di favori o piaceri ai tanti mariuoli che popolano i cosiddetti partiti della seconda repubblica.
La scrittura, confesso con tanta rabbia, è stata accompagnata dal titolo immaginato, e i ladri di tutto erano con tutta evidenza identificati nei boss e nelle oligarchie cooptate di questi partiti, ormai alieni alla politica e alla democrazia.
“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Su queste due righe, articolo 49 della Costituzione, si fonda la democrazia parlamentare del nostro Paese. Il metodo democratico con il quale i partiti concorrono è stato più volte regolato con legge dello Stato fino all’odierno sistema fissato nel “Porcellum”. In questi giorni si stanno raccogliendo le firme per abrogare le norme che hanno consegnato ai boss la nomina dei parlamentari. La mia firma ci sarà, ma la vittoria del referendum però non risolve la “questione”, anzi rischia di diventare lo specchietto delle allodole per garantire la sopravvivenza di questi partiti: riconsegna ai cittadini l’arma della preferenza su candidati comunque selezionati(?) dai boss e sotto-boss. La questione rimane quella che i padri costituenti non hanno chiarito e che tutti i Parlamenti che si sono succediti fino ad oggi non hanno mai voluto affrontare: che cosa sono i partiti? Come si costituiscono e come garantiscono il diritto di tutti i cittadini di associarsi liberamente?
Possiamo anche riformare il sistema per concorrere, ma se il diritto di associarsi rimane senza alcuna definizione, il pallino rimane comunque in mano alle oligarchie di questi partiti che “..non sono più organizzazioni del popolo, formazioni che promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camerille, ciascuna con un boss e dei sotto-boss”. La questione è e rimane quella scolpita da Enrico Berlinguer, ripresa e citata ogni qual volta emergono vicende di ordinaria corruzione. Ma la questione posta andava ben al di là del tema della corruzione. Non la questione morale era il tema, o almeno non quella riferita solo alla corruzione, ma quella declinata nel rapporto perverso fra partiti e istituzioni, nella occupazione delle istituzioni da parte dei partiti in quanto tali, nella partitocrazia senza politica che usa ed abusa della cosa pubblica. Sono loro i ladri di tutto ad alta velocità. Sono loro che, senza regole, e senza più le prassi dei partiti solidi della prima Repubblica, ci stanno rubando tutto; anche la sola speranza in un futuro meno buio di quello che la manovra finanziaria in discussione in queste ore sta disegnando.
Lo segnalo in breve nella premessa: “La forza della concreta realtà economica e sociale nel mondo ha costretto tutte le accademie a riaprire le pagine della storia, mentre queste pagine, mille volte più modeste, disveleranno a molti un dato nascosto nelle pieghe della contabilità dello Stato: alla voragine del nostro debito pubblico noto vanno aggiunti i debiti per miliardi e miliardi di euro occultati nei bilanci delle SpA pubbliche e nei Project financing modello Alta Velocità”.
Questo debito occulto nella contabilità nazionale non esiste, ma è debito pubblico a tutti gli effetti, debiti a babbo morto, nel quale pascola indisturbato un esercito di boiardi, faccendieri e marioli sotto i vessilli di partiti liquidi che corrodono i contenitori della spesa pubblica mascherata dal finto privato.
I ladri sono loro, i partiti senza definizione e senza regole. Nel libro, questo tema è solo accennato, è una semplice denuncia, poco approfondita, con la quale, non a caso, si chiude l’ultimo capitolo, quello che maggiormente evoca il titolo che ha accompagnato la scrittura e le ragioni che mi hanno spinto a scriverlo: “Senza la definizione di regole per la formazione e la gestione dei partiti, qualsiasi riforma elettorale che metta mano alle regole del consenso, o qualsiasi riforma della pubblica amministrazione che detti regole per i tecnici, i politici e i rapporti coi privati, consegnerebbe comunque il governo dei processi a questi partiti indefiniti, che – dentro e grazie al trionfante modello Tav – sono diventati, strutturalmente, catalizzatori di illegalità e ladri di risorse, ladri di democrazia e ladri di futuro: appunto, ladri di tutto”.
Anche il sottotitolo che avevo immaginato, La tangentopoli dello stato post-keynesiano, tradiva la rabbia che ha accompagnato la scrittura. Quello scelto, Il futuro di tangentopoli diventato storia, anche in questo caso è merito di un altro carissimo amico e rende meglio il senso e la lettera del mio lavoro.
Buona lettura