Democrazia chilometro zero – Come si ricostruisce la democrazia?


Incontriamoci a Napoli per discuterne.

Viviamo ancora in una democrazia? La coscienza che i nostri diritti di cittadini – enunciati dalla Costituzione – sono sistematicamente ignorati, elusi e raggirati è dilagante, come è inarrestabile il discredito della politica e irreversibile la crisi dei partiti. L’ultimo, durissimo colpo alle aspettative nei confronti dello Stato, presunto garante della coesione sociale, è venuto negli ultimi mesi dagli attacchi speculativi ai debiti degli Stati europei, inferti da chi detiene le leve finanziarie del sistema economico, a cui i governi, unanimi, hanno replicato obbedendo ai “mercati” e sacrificando la spesa sociale, ossia la sostanza stessa dell’azione statale. La crisi finanziaria precipita su un meccanismo democratico già logorato da un sistema della rappresentanza divenuto un impasto di media, intrattenimento, marketing; da leggi elettorali che espropriano i cittadini di ogni possibilità di scelta; dalla confusa lotta di lobby che vogliono accaparrarsi le residue capacità di spesa pubblica in appalti, grandi opere…

Ci si chiede se non sia al capolinea la traiettoria secolare della modernità, che poggiava su due pilastri: lo Stato nazionale e la rivoluzione capitalista. Quanto alla seconda, la globalizzazione liberista ha distrutto luoghi e senso – sociale e ambientale – della produzione, spingendo i capitali a ricercare piuttosto i guadagni finanziari o quelli monopolistici derivanti dalla privatizzazione dei beni comuni. In parallelo, gli Stati nazionali sono stati espropriati del potere di intervenire nell’economia. Agli Stati resta principalmente il “monopolio della forza”.

Se le originali missioni dello Stato nazionale sono alla fine, ci troviamo in un territorio sconosciuto e pericoloso, in cui i mezzi tradizionali di pressione, da parte di cittadini e lavoratori, sono sempre meno efficaci, perché il potere è altrove, nell’iper-spazio della finanza globale e nel concerto di poche centinaia di multinazionali che scelgono dove localizzarsi e creano gerarchie di ruoli tra i diversi paesi. Scioperi generali, elezioni, deliberazioni popolari come i referendum non riescono – come in passato – a costringere i governi e la politica in generale a cambiare rotta. Sintomatico è quel che è avvenuto dopo il referendum sull’acqua: amministrazioni e imprese sabotano ogni applicazione del voto popolare, e in compenso il governo ha inserito nella manovra economica un incentivo per corrompere i sindaci e indurli a privatizzare i servizi pubblici.

Questo incentivo è il coronamento dell’attacco al primo anello, il più importante, della catena democratica: i comuni, solo luogo “fisico” della democrazia, sono stati saccheggiati da tutte le ultime manovre finanziarie, e non solo per ragioni contabili, bensì per sottrarre ai cittadini gli ultimi luoghi della sovranità.

In questo panorama di macerie democratiche, la società ha reagito tentando in ogni modo di resistere e di proporre altre forme della democrazia. La ricerca di altri paradigmi economici ha creato un ambiente culturale molto vivo, sui temi ambientali e della coesione sociale, anche a livello globale: un esempio per tutti è la campagna sull’acqua. Ma la radice di questa nuova cultura sta nelle lotte di intere comunità –esemplare quella della Val di Susa – contro l’economia dello spreco e della dissipazione territoriale, e nelle lotte dei giovani, dei ricercatori, dei lavoratori, delle donne.

Il paradosso è dunque che sapremmo cosa fare per andare verso quella che alcuni chiamano una economia della decrescita e altri una riconversione o conversione ecologica dell’economia. E sapremmo anche dove farla: nei luoghi, nelle città, dove i cittadini vivono, perché questa nuova economia non può non basarsi sulla cooperazione, sul decentramento dei mezzi di produzione e sul controllo democratico, sapendo per altro che le reti lunghe della comunicazione assicurano una visione globale all’azione locale. Però non sappiamo chi, con quali mezzi, può fare tutto questo. In altre parole: come si ricostruisce una “democrazia reale”, come dicono gli “indignados” spagnoli?

Sappiamo che i tentativi sono moltissimi. Si chiamano presidi e comitati cittadini, liste di cittadinanza e – in qualche caso – nuovi sindaci accompagnati da una cittadinanza consapevole, movimenti sociali o tematici di ogni tipo. Molti si chiedono anche come rinnovare radicalmente la politica di sinistra. E le ipotesi sono altrettanto varie: “liste civiche nazionali”, una federazione di comunità autogovernate, democratizzazione dell’assetto istituzionale dell’Unione europea…

Insomma, la domanda è: qual è il passo successivo? Che tipo di democrazia – locale e globale – potrà sostituire quella storicamente materializzata – nel bene e nel male – negli Stati nazionali? Sarebbe già un grande passo riuscire ad articolare questa domanda in tutta la sua complessità. Perciò Democrazia chilometro zero, rete di persone al servizio di chi nella società cerca vie di uscita alla crisi globale, propone che molte persone, altre reti, associazioni, sindacati, si incontrino a Napoli in una data e in modi da concertare.

A Napoli, perché è la città dove un nuovo sindaco e una nuova giunta stanno esplicitamente ponendo la questione di una nuova forma della democrazia a difesa dei beni comuni, in una situazione per altro dove le conseguenze dell’economia anti-sociale sono più drammatiche che altrove.

Democrazia chilometro zero www.democraziakmzero.org