Apuane da Mangiare, dopo la Milano da Bere di Mauro Chessa

Apuane: 279 modi per dire carbonato di calcio
Da Acquabianca a Zebrino, passando per il melenso Fior di pesco, l’esoterico Grigio trambiserra, l’aristocratico Persichino della rava, l’improbabile Verde Luana. I più noti probabilmente sono il Bardiglio, il Cipollino e il Bianco, il sovrano è certamente lo Statuario.
Sono le varietà commerciali dei marmi, secondo il Progetto Marmi Alpi Apuane, elaborato dal Centro di GeoTecnologie dell’Università di Siena per la Regione Toscana (2007). Ma negli ultimi 2 decenni si è affermata una categoria merceologica trasversale: il detrito di marmo, gli scarti di lavorazione che alimentano i ‘ravaneti’, cioè le discariche minerarie delle Apuane. Il detrito viene polverizzato in carbonato di calcio e così impiegato per la produzione di plastiche, gomme, pneumatici, isolanti, vernici, colle, carta, prodotti chimici, farmaceutici, cosmetici e nell’edilizia. Solo per l’abbattimento degli ossidi di zolfo nelle emissioni di una centrale elettrica a carbone da 1.000 Megawatt ne servono 50.000 metri cubi all’anno; 1.500 tonnellate all’anno per il dentifricio venduto in Italia; poi una quantità indefinita nei mangimi e negli alimenti. In effetti l’interesse per il carbonato di calcio nasce nei primi anni ’90, quando venne abbassato il grado di purezza di quello utilizzabile nell’industria alimentare, così rientrò nei limiti il marmo delle Apuane: si chiudeva l’era della ‘Milano da bere’ e si apriva quella delle Apuane da mangiare.

Leggi il documento