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La Rete è nata ed diffusa prevalentemente in Toscana, ma ha agganci e rapporti con situazioni liguri, venete, umbre, marchigiane, romane, laziali. Dialoga con le altre Associazioni (Italia nostra, Legambiente, Wwf), di volta in volta incontrandosi e distinguendosi. Ha rapporti eccellenti con il Fai. Recentemente ha aperto un canale di confronto e di scambio con un altro movimento, diverso ma consimile, «Stop al consumo di territorio», presente a sua volta soprattutto in Piemonte e Lombardia (ma anche altrove). Ma esperienze di Comitati sono attive in Italia ovunque. Anzi, più esattamente, ce ne sono in giro centinaia, di dimensioni che vanno dal microscopico ai supermassimi (NoTav di Val di Susa). Confinano o talvolta s’integrano con altre esperienze analoghe (Forum dell’acqua); invadono autorevolmente il campo istituzionale (lista «Per un’altra città», ben insediata nel Consiglio comunale di Firenze).
Insomma, i Comitati per la difesa del territorio, variamente organizzati e coordinati, sono una forma nuova di concepire e vivere la democrazia italiana. Anche per il solo fatto di esserci, appunto. Ma qualche ragionamento ulteriore può essere fatto. Gli ostacoli al cambiamento dal basso – per tornare all’indicazione di Viale – sono, a giudicare dalle mia esperienza, variabili e molteplici, ma tre sempre e ovunque risaltano. Sono: 1) Il conflitto inesauribile e insanabile, piccolo o grande che sia, con i poteri forti dell’economia, della speculazione e dello sfruttamento, che si manifestano in mille modi, da quello dichiaratamente delinquenziale a quello puttanescamente istituzionale; 2) la debolezza della risposta ad parte di una larga parte dell’opinione pubblica, e della maggior parte dei grandi mezzi di uno stravolto e magari morente (ma tuttora micidiale) modello di sviluppo (ancora Viale); 3) la pressoché totale sordità nei confronti di queste tematiche da parte di tutte (ripeto per brevità: tutte, ma potrei anche specificare) le forze politiche di livello nazionale. Il primo dovrebbe essere il nemico naturale di ogni difesa del territorio, della conservazione dei beni culturali, più in generale di una buona qualità della vita. Gli altri due, invece, nemici occasionali, episodici e dunque potenzialmente recuperabili: ma come? Ma quando?
Perché questi due obiettivi, che sono decisivi, si concretizzino e si avvicinino, bisogna secondo noi (qui esprimo il parere collettivo della Rete) imprimere alla battaglia ambientale un’accelerazione sia culturale che politica (il binomio qui è meno formale che altrove). Tale battaglia ruota sempre di più intorno alla nozione di «bene comune» (mi permetto di richiamare a tal proposito un mio articolo apparso nel dicembre 2008 su la Repubblica): le eredità culturali e artistiche, l’ambiente, il paesaggio, vanno intesi alla lettera, al pari dell’aria e dell’acqua, come patrimonio inalienabile delle generazioni umane presenti e anche, o forse soprattutto, future (si vedano, anche, gli studi e le proposte legislative elaborati in varie fasi da Stefano Rodotà). Su questo fondamento, una volta acquisito e diffuso, si possono basare una nuova cultura e una nuova politica, intese anch’esse nel senso più vasto.
In una recente riunione (Roma, 6 novembre) del Consiglio scientifico di cui la Rete si è dotata e della sua Giunta (illustrati, l’uno e l’altra, dalla presenza di molti dei più prestigiosi studiosi e specialisti del settore), sono state assunte due iniziative che si muovono nel senso predetto. La prima è la convocazione di una Conferenza nazionale dei Comitati che si occupano ovunque di difesa del territorio: l’obiettivo potrebbe esser quello di creare, non una Rete nazionale, ma una Rete di Reti, coerentemente con lo spirito del neoambientalismo, che non prevede, né in loco né fuori, rapporti gerarchici di direzione. La seconda è l’avvio della preparazione d’un grande Convegno, anch’esso nazionale, tematizzato su quello che potremmo sinteticamente definire: «Il disastro Italia», nel quale convogliare, in termini sia analitici sia di denuncia sia di progettualità propositiva, la grande risorsa intellettuale dei Comitati, accompagnata e intrecciata con quella dei molti studiosi e specialisti che l’hanno accompagnata, e che speriamo sia destinata a rafforzarsi ancor di più nel prossimo futuro.
Crescere dal basso dunque si può, ma solo se si contestualizzano e si organizzano, su di un orizzonte strategico più vasto, gli innumerevoli focolai locali. Il «salto di scala» è necessario perché ognuno di essi acquisti forza, allargando intorno a sé il consenso popolare e premendo in maniera decisamente più autorevole sulle forze politiche, locali e nazionali: cambiandone anche, cammin facendo, la natura. Mentre si studiano i modi per far fuori il cadavere di Berlusconi, e al tempo stesso si aprono le grandi manovre per assicurare la perpetuazione indefinita del berlusconismo, potrebbe essere questa una delle strade più serie e responsabili per garantire, insieme con la salvezza imprescindibile del territorio italiano, anche un salto in avanti di tutta la nostra democrazia.
>L’esperienza concreta di questi ultimi venti anni ci ha dimostrato alcuni fatti, che elenco e che chiedo di tenere ben a mente:
1- i poteri forti non sono più in grado di estrarre profitti in Italia dal lavoro produttivo di manufatti e, se da una parte hanno delocalizzato le industrie di manufatti, in Italia stanno sempre più concertando con i governi locali e nazionali per estrarre rendite parassitarie dal reddito complessivo delle famiglie. Hanno ottenuto dai partiti di centro destra e di centro sinistra, la gestione in termini monopolistici di servizi a domanda rigida alle famiglie (acqua, rifiuti, trasporti, viabilità, energia…), realizzando un accordo politico nazionale, spartitorio a livello regionale e che ha già prodotto dalla fine degli anni ’90 forti cambiamenti strutturali;
2-si sono nel paese strutturate molte decine di società miste di gestione di tali servizi “pubblici”, che stanno distribuendo una parte delle rendite percepite a molte centinaia di uomini e donne in carriera politica nei partiti di governo locale, sotto forma di lauti stipendi nei consigli di amministrazione di tali società e, in modo più penetrante nella società, di stipendi garantiti ad una moltitudine di giovani “clienti politici” collocati in uffici di progettazione tecnica o di amministrazione, costituitisi in SPA di Servizio alle pubbliche amministrazioni, sempre più prive di personale e di trasferimenti finanziari dallo Stato.
3- I gruppi dirigenti nazionali dei partiti nel frattempo hanno cambiato la loro pratica, garantendo la carriera politica solo ai fedeli, scelti per cooptazione dai vertici nazionali e premiati con gli strumenti sopra rammentati. Non è un caso l’eliminazione concordata delle preferenze alle elezioni, la scelta del candidato unico nei collegi elettorali del maggioritario, la diffidenza verso le primarie ecc. ecc.
Questi tre fenomeni hanno strutturato nel paese una realtà materiale e un legame molto forte, organico, tra i partiti e il padronato finanziario Se questi fenomeni non vengono visti e destrutturati, allora ci si può anche illudere di poter condizionare, cammin facendo, le scelte di questi partiti, di cambiarne la natura, ma credo che si rimanga nel mondo delle speranze vendoliane e fuori dalla storia.
Roberto Barocci
Forum Ambientalista Toscano
>Sia nell'articolo che nel commento sembra di capire che vi sia uno scontro tra chi ci tiene al bene pubblico e chi invece, negli ultimi anni, sta accumulando ricchezze in barba a questo. Scorrendo le pagine di Silone nel saggio (pubblicato da Mondadori, mannaggia) "Il fascismo – Le sue origini e il suo sviluppo" si trovano nomi e cognomi di chi l'ha fatto salire e stupisce come siano gli stessi che lo hano fatto cadere, gli stessi che hanno fatto la prima repubblica, gli stessi che hano dato vita a questa seconda repubblica (almeno a dire loro). Se poi recupero i matriali prodotti in Sicilia in corpo a quel magnifico movimento che vide come ispiratore Danilo Dolci, leggo che l'Italia, dalla sua nascita sino al 1948, grazie al sistema elettorale, ha garantito che industriali del nord e mafiosi del sud occupassero tutti i posti di comando. Forse dal '45 al '78 si è anche avuta l'impressione che qualcosa potesse cambiare ma da allora in poi questo sogno si è spento.
Quelle stesse identiche forze continuano ad essere al comando del Paese indisturbate, o quasi, da 150 anni!
In questi ultimi mesi c'è anche chi ha detto che l'ambientalismo non è né di destra né di sinistra, forse dimenticando che il Terzo Reich era all'avanguardia per le politiche di verde pubblico e salute sui luoghi di lavoro, ovviamente per gli ariani e sulla pelle delle razze inferiori.
Insomma ciò che si ha davanti non ha nulla di nuovo né di neo o post, è una vecchia politica di accumulazione di ricchezze e potere che riguarda le solite caste. La Val Susa ha dimostrato proprio questo e tra pochi mesi verrà per questo attaccata, nel vero senso del termine c'è da temere.
L'alta Velocità è una realtà in tutti gli altri punti d'Italia, nessuno altro è riuscito a bloccare così a lungo questa nefasta opera che si sta mangiando ingenti risorse economiche e di territorio.
Come si porranno i movimento neoambientalisti difronte al prossimo attacco? chiedere al lupo di perdere pelo e vizio può bastare?