…Abbiamo sempre apprezzato Report per obiettività ed analisi anche scomode di varie realtà italiane, ma stavolta ci dispiace non condividere l’impostazione e lo svolgimento dell’inchiesta sull’eolico.
Comprendiamo che il tema sia vasto, di difficile esposizione su aspetti tecnici, e “controcorrente” rispetto alla opinione pubblica, schierata corrivamente a favore a prescindere.
Lodevole l’analisi dei casi presi in esame, forse sviluppati anche
troppo a lungo, ma carente il quadro del contesto generale italiano, sia nei risvolti energetici generali, che per molti altri “casi” ormai di pubblico dominio, come impianti eolici in Sicilia ed in Sardegna.
Ovvio che non si possa parlare di tutto e di tutti, ma perlomeno accennare all’arresto di Oreste Vigorito presidente dell’ANEV, l’Associazione Nazionale degli industriali dell’eolico, e titolare di IPVC; alla vicenda di Flavio Carboni e compagni in Sardegna. Ambedue casi che, non solo presentano risvolti gravi sul piano giudiziario, ma che hanno realizzato impianti assolutamente improduttivi. E questo è il principale filone assente dalla vostra inchiesta.
La realizzazione di molti impianti (per favore evitiamo la dizione “parco”, trattandosi di strutture industriali) eolici italiani è stata effettuata solo per lucrare, e non poco, da parte dei vari passacarte definiti “sviluppatori”, con la complicità pelosa di amministratori pubblici di vari livelli. Il tutto prescindendo dalla reale vocazione eolica dei siti interessati dagli impianti, spesso ora fermi o scarsamente produttivi.
Recentemente il giornalista de “il Messaggero” Nino Cirillo ha spesso messo il dito nella piaga di questa cosidetta fonte energetica rinnovabile che in Italia ci costa molto, ma produce ben poco. I numeri parlano chiaro. Al 2009 quasi 5.000 MW installati, ma circa 6,7 TWh prodotti; in altre parole siamo intorno alle 1.300 ore di producibilità equivalente, contro le 2000 ed oltre di altri paesi europei, con regimi anemometrici più adeguati a questa tecnologia. In altre parole, grandi sacrifici, in bolletta, di paesaggio, di rumore, ma risultati scarsi e non risolutivi, privi di qualsiasi indotto locale, e spesso con perdita di valore delle proprietà limitrofe.
Così per gli aspetti energetici generali manca qualsiasi riferimento alle reali esigenze di GSE che è costretto spesso a staccare gli impianti eolici dalla rete allo scopo di non creare squilibri a rischio blackout (vedi Orientamenti per il dispacciamento dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili non programmabili” – Autorità per l’energia elettrica e il gas – 27 luglio 2009). Ed inoltre, quanto da voi stigmatizzato sull’importazione dall’estero, è ulteriormente da condannare per la grave speculazione Enel, che nottetempo utilizza questa energia, praticamente regalata dal nucleare francese, per il ripompaggio a monte dell’energia idrica, di giorno rivenduta a prezzo elevato, con un lucro rilevante.
In sintesi, quanto da voi rappresentato potrebbe apparire come un contesto drogato dai certificati verdi, in cui solo alcuni furbacchioni speculano con un business disinvolto, mentre la realtà è ben diversa. Ossia, avete evidenziato solo la punta dell’iceberg, mentre il peggio è rimasto invisibile.
Che dire? Possiamo sperare in una seconda puntata per tutto il mancante?
Sarebbe troppo bello.
Comunque complimenti a lei ed alla redazione per l’impegno e l’attività svolta sempre con difficoltà e ostacoli di ogni genere.
Buon lavoro e cordiali saluti.
Per il Comitato “GEO – Ambiente e Territorio”
Sennuccio del Bene